Ormai più che una blogger, sono
diventata come la cometa di Halley, che si è fatta vedere nel 1986 e il cui
prossimo perielio è previsto per il 2062. Bene, ma non benissimo.
Dio, se mi mancate! Mi ero
ripromessa di non trascurare troppo questo spazio virtuale, ma porcazozzaladra,
non è facile riuscire a conciliare
tutto. Fare un lavoro che ti porta fuori casa per tante ore, soprattutto serali
e nei weekend, avere una figlia entrata ufficialmente nell’adolescenza
(comprensione, necessito di molta comprensione), un’altra che non importa se
hai lavorato fino alle 2, alle 7 del mattino vuole latte-cartoni-cacao, avere una casa che cerchi di non far
esplodere, un gatto che si è auto adottato e che tutti “uh, che bello, che
bello, abbiamo un animale” e poi sei l’unica a dargli da mangiare e – ciliegina
sulla torta - avere all’attivo quattro
chat di mamme su whatsapp, comporta
un’organizzazione rigorosa del tempo, tabelle di marcia prestabilite, ma
soprattutto l’ammissione di avere indiscutibilmente bisogno di aiuto. Non
avendo appoggi nonneschi e neanche possibilità di accendere un mutuo per pagare
una babysitter, abbiamo optato per il magico mondo delle Aupair.
Cos’è l’Aupair? La ragazza alla
pari, cioè una giovane fanciulla che per viaggiare e imparare le lingue in
modalità low cost, decide di vivere per un periodo determinato ospite di una
famiglia e, in cambio di vitto e alloggio e di un rimborso spese, presta servizio
di tata per i piccoli componenti della casa.
Cose necessarie per ospitare una Aupair:
- Avere una stanza per lei e farle spazio in cassetti e armadi. Sembra facile, ma per questo bisogna invocare lo spirito di Marie Kondo.
- Essere accoglienti e ben disposti: la ragazza si trova in un posto nuovo, con persone che non conosce, a chilometri di distanza dai propri affetti, quindi è carino farla sentire “a casa” fin da subito.
- Attenzione a scegliere una strafiga con capello fluente, chiappe sode e pigiamini ridotti: il confronto è dietro l’angolo.
- Siate curiosi. La cosa più bella è imparare a conoscere una cultura diversa, abitudini differenti dalle nostre, aprirsi all’altro. A seconda della nazionalità, però, il rischio che cucini dei piatti demmerda è elevato.
A luglio abbiamo così conosciuto,
tramite il sito aupairworld.com, Sarai
che è rimasta a casa nostra per due mesi, poi è arrivata Ana da settembre fino
alla scorsa settimana ed ora siamo in attesa, per il nuovo anno, di Cristina. Tutte spagnole, tutte della stessa città, Castellòn
(vicino a Valencia) di cui probabilmente diventeremo cittadini onorari: se ve
lo state chiedendo, è stato abbastanza un caso, non una cosa forzatamente
voluta. Semplicemente sono tutte ragazze che frequentano una scuola di italiano
in Spagna e per loro è una bella occasione per migliorare la lingua in vista
degli esami.
Il mio bilancio dopo sei mesi di Aupair? Assolutamente positivo! All’inizio ero io quella scettica: un’estranea
a casa mia h 24? E, ma che palle,
giammai! Certo, i primi giorni sono di “studio” reciproco, ma poi Sarai e Ana
sono diventate veramente parte della famiglia, è stato bello vederle interagire
con le bimbe (che tra l’altro hanno anche
imparato un po’ di spagnolo), sono state un aiuto fondamentale per la gestione
della casa e abbiamo sperimentato che la tavola è come sempre quel luogo che
unisce le persone.
Ana era molto più curiosa nell’assaggiare
le ricette della tradizione italiana e in particolare piemontese, con un occhio
di riguardo per il vino che è stato molto apprezzato. Hic. Sarai ci ha cucinato
diversi piatti spagnoli, dalla paella alla coca de tomate, dall’arroz al horno
alla tortilla de patatas. Ecco, non è esattamente una ricetta natalizia, ma
tanto ormai siamo alla Vigilia e avrete tutti programmato già cenoni e pranzi. Per
cui vi lascio il procedimento della tortilla originale spagnola, che non è una
banale frittata di patate, ma ha un procedimento diverso che la rende un ottimo
antipasto oppure, se tagliata a quadrotti, un aperitivo sostanzioso. Da
abbinare con una birra, una cerveza bella ghiacciata.