mercoledì 27 novembre 2013

Il brutto anatroccolo

Ilary - Immagine da wikipedia.it
Vi ho mai detto che ero una piccola atleta in erba della ginnastica ritmica? Ecco, non proprio una stella, diciamo più una meterorite. Avevo dodici anni e sono rimasta sflashiata tardivamente da Ilary con il suo nastro colorato, così ho cominciato a frequentare le lezioni in una delle più antiche palestre di Torino, fucina dove sono cresciuti veri atleti pluri premiati. Me esclusa. Ci andavo due volte alla settimana, insieme alle mie amiche del cuore delle medie e mi divertivo come una matta: ognuna di noi si era scelta un armadietto dello spogliatoio, in cui avevamo scritto con la matita cancellabile il nome del nostro amato, non perché fossimo delle banderuole, ma solo perché eravamo molto romantiche e non vandale. Mi piaceva indossare il body verde con lo stemma della scuola sul braccio e le mezze punte mi facevano sentire una vera professionista quando saltavo per riprendere al volo il cerchio o la corda. Brava, sì, volenterosa, ma diciamo che la grazia delle ballerine di danza classica non mi è mai appartenuta. C'erano delle ragazzine più grandi, belle, alte e slanciate, con un invidiatissimo accenno di seno, un nastro multicolore che tutte avremmo voluto, ma con un po' di puzza sotto il naso. Non abbiamo mai legato. Poi c'era Fabrizia, una bimba tenera, con i capelli scuri alle spalle, gli occhi enormi sempre un po' spersi: secondo me le faceva cagarissimo la ginnastica ritmica e le mutandine rosa che le spuntavano involontariamente dal body d'ordinanza la facevano sembrare ancora più impacciata. Era un po' goffa nei movimenti e questo mi faceva sentire un po' la Carla Fracci delle clavette: non gliene sarò mai abbastanza grata, autostima a mille. Con Fabrizia ci siamo poi perse di vista, come spesso accade, per poi rincontrarci casualmente tra le vie di Torino qualche anno fa: Fabrizia è diventata una donna, una gran gnocca oserei dire, con i capelli fluenti da far schiattare quelle che agitano la testa nelle pubblicità degli shampoo, occhi da cerbiatta, sicuri e fieri, un viso bellissimo. Il piccolo anatroccolo si è trasformato in cigno.
Quest'anno mi sentivo avantissima rispetto ai miei standard per quanto riguarda il Natale, perché ho cominciato a prendere qualche regalo e la casa ha già qualche addobbo, ma Fabrizia ha veramente battuto tutti facendo l'albero a inizi novembre e introducendomi così nell'atmosfera natalizia. Mito.
Oggi allora vi propongo un'altra ricetta perfetta per la tavola delle feste: arrosto di maiale al latte e nocciole. E' un secondo che esce un po' dal solito, ma che è sempre di facile esecuzione: il filetto cotto con il latte e il timo rimane morbido e profumato, le nocciole tritate arricchiscono la salsa di accompagnamento, gustosa e delicata, che verrà finita con una sontuosa scarpetta. Ma non da ballo.

A casa mia...Ilary, armoniosa Ilary!

Arrosto di maiale con latte e nocciole

Arrosto di maiale con latte e nocciole

Ingredienti

  • 700-800 gr di filetto di maiale
  • ½ litro di latte
  • 100 gr di nocciole
  • 2 spicchi d'aglio
  • 1 rametto di timo
  • Farina
  • 50 gr di burro
  • Olio evo
  • Sale&Pepe


Preparazione


Infarina il filetto di maiale. Fai scaldare il burro con un filo di olio in una casseruola e fai rosolare il filetto con gli spicchi d'aglio




Scalda il latte e quando il filetto è ben rosolato, irroralo. Poi aggiungi il timo. Fai cuocere con il coperchio per circa 20-30 minuti a fiamma bassa. Poi togli il coperchio, alza la fiamma e fai cuocere per altri 10 minuti.




Togli il filetto e avvolgilo nella carta stagnola per tenerlo caldo. Elimina l'aglio e il timo, trita le nocciole e a queste aggiungi il sugo di cottura e frulla insieme.





Taglia l'arrosto e servilo con la salsa di latte e nocciole


venerdì 22 novembre 2013

Cairo, sono tua!

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Scena I, mattina: sei a casa dal lavoro e ne approfitti per mettere a posto quei cassetti del mobile in salotto, che sono diventati un'accozzaglia di cose indefinite e che non sai di avere; accendi la tv per avere un po' di compagnia e ti trovi un programma di cucina. Massaie che impastano, eco friendly che ti insegnano a fare marmellate con le bucce di qualcosa, biondone con stacco di coscia in bella vista – e siamo solo al mattino – che seguono con attenzione lo sfrigolare di una padella, ma in realtà pensano che vorrebbero fare colazione da Tiffany. Aridatece Wilma De Angelis.
Scena II, pomeriggio: dopo pranzo ti concedi una pausa rilassante sul divano, accendi la tv e ti trovi un programma di cucina. Repliche di show cooking o chef che rimettono in sesto ristoranti e ristoratori che farebbero meglio a darsi all'ippica.
Scena III, sera: dopo una giornata faticosa, finalmente arriva il momento in cui i tuoi figli sono a letto, quindi divano, copertina, tisana e accendi la tv; fai zapping per trovare un programma decente e, indovina un po', ti imbatti nell'ennesimo programma di cucina. Non se ne esce più vivi. O se sei vivo, hai il colesterolo che implora pietà.
L'altra sera, mentre io e la Nanagrande guardavamo complici una replica di Masterchef USA, il Maritino sbotta: “Eccheppalle! In questa casa o si guarda Peppa Pig o una trasmissione di cucina!”.
Oppure una partita del Toro, aggiungerei io. Che vi devo dire, sarà per deformazione professionale oppure per il desiderio inconscio – mica tanto inconscio: Presidente Cairo, prendimi! Costo molto meno della Parodi e dopo lavo anche le pentole! – di volere essere dall'altra parte dello schermo, ma io queste trasmissioni le guardo, prendo spunto, rido e critico, e ho già segnato in agenda che il 19 dicembre comincia la terza edizione di Masterchef Italia. Tanti amici mi chiedono di partecipare e vi ringrazio per la fiducia che avete in me, ma no, proprio non fa per me e per la mia cucina. Io sono semplice, casalinga, caciarona e amo cucinare i piatti tipici regionali per gli amici, per la mia famiglia. Cosa direbbero Cracco, Barbieri e Bastianich se gli preparassi i peperoni con la bagna caoda? Dopo un mi stai diludendo se li mangerebbero, lascia fare. Fan tutti i fighetti, ma poi i sapori semplici vincono sempre.
I peperoni con la bagna caoda sono uno dei millemila antipasti del Piemonte, una ricetta semplice che secondo me ben si adatta ad una bella tavolata, anche a quella più elegante delle feste natalizie. I peperoni gialli e rossi, meravigliosi colori autunnali, si cuociono da soli in forno e la casa avrà un profumo eccezionale; la salsa di acciughe – la mia è poco agliata – si fa in pochi minuti, un po' di più di quelli che ci metteranno i vostri ospiti a spazzolare il piatto.
Alla faccia di Cracco.

A casa mia...tradizione piemontese!

Peperoni con bagna caoda

Peperoni con bagna caoda

Ingredienti per 6-8 persone

  • 3 kg di peperoni
  • 1 bicchiere di latte
  • 3 spicchi d'aglio
  • 300 gr di acciughe sott'olio
  • Olio evo


Preparazione


Lava i peperoni, asciugali, poi disponili sulla leccarda ricoperta con carta da forno. Falli cuocere in forno a 200° per circa 1 ora




Quando i peperoni sono morbidi, mettili ancora bollenti in un sacchetto di plastica da freezer e chiudi bene, in modo che sia facili spellarli una volta raffreddati.



In un pentolino metti a scaldare il latte con gli spicchi d'aglio. Quando sono morbidi, togline due e il terzo schiaccialo bene.



Poi aggiungi le acciughe e un po' di olio e falle sciogliere bene.





Servi i peperoni con la salsa di acciughe




mercoledì 20 novembre 2013

I Sardi, gente tosta

Ieri ci siamo svegliati con una rassegna stampa terribile, con la notizia dell'alluvione in Sardegna e la sua triste conta dei morti. Calamità naturali che portano conseguenze tragiche soprattutto laddove l'uomo e la politica più cinica hanno operato. Non voglio fare polemiche e nessun j'accuse, non penso sia questa la sede giusta; credo che questo sia il momento in cui riflettere, in cui agire veramente in modo che avvenimenti del genere possano essere prevenuti, in cui far sentire la vicinanza ad un popolo che quasi tutti conosciamo e amiamo per la sua accoglienza perché molto spesso la Sardegna è meta delle nostre vacanze estive, è lo sfondo meraviglioso dei nostri ricordi più spensierati e felici. I Sardi sono gente tosta, un popolo cocciuto e tenace e ce la faranno, io li conosco bene.
Oggi poche righe perché a volte basta solo un abbraccio, e il mio personale omaggio alla seconda regione del mio cuore: la ricetta della fregola con le arselle.
La fregola è una particolare pasta sarda fatta a palline di semola di grano duro, una sorta di cous cous nostrano, che si sposa particolarmente bene con i frutti di mare. Ho preparato la fregola secondo i consigli di mio zio Alberto, perfetto cuoco di piatti semplici, ma che escono sempre dal solito e che sanno ammaliare per il gusto paradisiaco. La fregola con le arselle è un piatto meraviglioso, di facile esecuzione, che vi invito a provare e a sperimentare anche per la tavola delle feste se amate il menù natalizio a base di pesce.

A casa mia...Forza Sardegna!

Fregola con arselle

Fregola con arselle

Ingredienti per 6 persone

  • 400-500 gr di fregola sarda
  • 1 kg di arselle
  • Prezzemolo
  • Mezzo tubetto di concentrato di pomodoro
  • Peperoncino
  • 2 spicchi d'aglio
  • Olio evo
  • Mezzo bicchiere di vino bianco
  • Brodo vegetale


Preparazione

Lascia le arselle a bagno nell'acqua per un paio d'ore. Poi sciacqua bene. In un'ampia padella, metti un filo d'olio, l'aglio e mezzo peperoncino, poi metti le arselle. Sfuma con il vino, aggiungi il prezzemolo e lascia schiudere le arselle coprendo con un coperchio.




Quando le arselle sono aperte, puliscile e metti da parte. Filtra l'acqua di cottura, aggiungi il concentrato di pomodoro e fallo sciogliere bene. Aggiungi la fregola, facendola cuocere a mo' di risotto, aggiungendo un po' di brodo vegetale caldo quando necessario. La fregola, però, non deve essere troppo asciutta.




Quando la fregola è cotta (circa 6-8 minuti), aggiungi le arselle. Regola di sale se necessario, ma ricorda che le arselle sono già salate naturalemente.





Servi con qualche conchiglia e del prezzemolo fresco


lunedì 18 novembre 2013

Tu chiamale, se vuoi, emozioni

Foto de labottegamoderna.com
Ci sono momenti della vita che non si scordano, che ti cambiano profondamente, quegli avvenimenti così importanti che anche a distanza di anni, a pensarci, provi la stessa emozione. Non parlo di matrimonio, né di figli e neanche dell'acquisto di una borsa di Gucci, anche se in questo caso tantarobba. Quindici anni fa diventavo maggiorenne – opporcavacca, quin-di-ci – una data significativa per tutti gli adolescenti perché è il passaggio verso l'età adulta, perché puoi votare, perché puoi firmare le giustificazioni a scuola – ma se sei minorenne, procurati una compagna brava a falsificare la firma di tua madre, come ho fatto io – ma sopratutto perché puoi prendere la patente. Non sono mai stata una fanatica delle automobili, ma guidare mi piace molto fin dai tempi dell'autoscontro e dai miei diciotto anni non volevo altro che quel lenzuolino rosa della motorizzazione. Sì, ho ancora la vecchia patente, non fate gli screanzati con battute sull'età. Il giorno in cui ho fatto l'esame di guida era inverno, ma c'era un gran sole, preludio di una primavera che voleva arrivare. Era un sabato pomeriggio, dopo la scuola, e ricordo benissimo quella gioia straripante nel firmare con mano tremante quel documento rosa, dopo che l'esaminatore pronunciò le fatidiche parole: “Signorì, accosti pure”. Dallo specchietto retrovisore mi accorsi che c'era la macchina di mio padre, il quale mi aveva seguito da lontano, e con un gesto atletico alla Bo&Luke sono uscita fuori da finestrino sventolando la mia patente nuova di pacca. Tu chiamale, se vuoi, emozioni. I miei genitori partirono poi per la montagna ed io passai tutto il pomeriggio a guidare per Torino con la Panda 750CL – macchina di un certo livello - di mia madre e il sorriso stampato sulla faccia.
Ecco, io una macchina proprio mia non l'ho mai avuta e adesso, per esigenze logistiche familiari, mi servirebbe proprio: non dico un'automobile di lusso, ma neanche una Prinz, mi andrebbe bene anche una zucca trasformata in carrozza. Nell'attesa che arrivi la Fata Madrina a fare tutto il suo cine con la bacchetta magica, comincio io a trasformare una zucca in soffice purè. E' un'alternativa sana e gustosa del classico purè di patate, da abbinare a carni o semplicemente da mangiare con un cucchiaio dalla ciotola. Solo zucca, un fiocchetto di burro, noce moscata e parmigiano per un contorno che non ha bisogno di magia, ma che lo è.

A casa mia...cercasi auto!

Purè di zucca

Purè di zucca

Ingredienti per 4-6 persone

  • 700 gr di zucca
  • 80 gr di burro
  • 1 goccio di latte (se necessario)
  • Noce Moscata
  • Sale
  • Parmigiano



Preparazione


Pulisci la zucca e falla lessare in acqua salata. Quando è morbida e ancora calda, fai il purè con lo schiacciapatate.




Aggiungi il burro e amalgama bene facendolo sciogliere. Se dovesse risultare poco morbido, aggiungi un po' di latte. Spolverizza con noce moscata






Servi il purè di zucca con del parmigiano grattugiato


mercoledì 13 novembre 2013

La pasticciera di Babbo Natale

Foto de Le Terre dei Savoia
Provate ad immaginare una sala di un palazzo storico, stucchi alle pareti, soffitti affrescati, pesanti tende di broccato alle ampie finestre che si affacciano su un parco perfettamente geometrico; immaginate la sala gremita di persone vestite di tutto punto, militari in alta uniforme, fiori freschi nei vasi antichi, lampadari di cristallo illuminati; immaginate che arrivi il super mega presidente e che tra tutte le persone presenti, scelga proprio voi per quel titolo ambito, quell'onorificenza straordinaria e che quella spilla appuntata sul bavero della giacca sia la cosa più preziosa al mondo. Tutti si alzano compostamente in piedi. Applausi.
E' successo anche a me! Allora, eliminate la sala nel palazzo figo, togliete pure la gente col vestito buono e i caramba con il pennacchio sulla testa, niente presidente e coccarda, ma l'onorificenza l'ho ricevuta, eccome: sono ufficialmente la pasticciera di Babbo Natale! Cioè, mica cotiche.
Da fine novembre fino all'Epifania, Le Terre dei Savoia organizza per le famiglie un pacchetto turistico veramente bello nel cuore delle Langhe per assaporare il clima natalizio, ma sopratutto il buon cibo e l'ottimo vino. A Govone – piccolo e grazioso paese vicino ad Alba – ci sarà il magico paese di Natale con mercatini, il giro sul trenino e ovviamente la visita nella baita di Babbo Natale per consegnare la letterina. Si sa, dal vecchietto più amato al mondo, non si può arrivare a mani vuote e lui è molto goloso di dolcetti, per cui il giorno prima aspetto i bimbi a casa mia, la pasticceria ufficiale di Santa Claus, per fare tanti bei biscotti profumati da portare in dono a Babbo. Adoro l'atmosfera natalizia e quest'anno, tra zenzero, cannella e zucchero a velo come neve, sarà ancora più bello.
Non pensiate manchi ancora molto, il countdown è già partito a ritmo di Jingle Bells ed è ora che cominciate a decidere il menù delle feste. Io ovviamente non l'ho ancora fatto, ma è noto che il ciabattino vada in giro scalzo. Oggi, dunque, una ricetta natalizia: un antipasto molto semplice, ma altrettanto particolare che vi farà fare un figurone. I panettoncini ripieni di verdure possono lasciare inizialmente interdetti per l'accostamento, ma appena verrà gustato un boccone tiepido e lievemente croccante di panettoncino, insieme alle verdure morbide e cremose mantecate con la robiola, ogni dubbio sparirà. Più natalizio di questo piatto, ci sono solo i biscottini della pasticciera di Babbo Natale. Oui, c'est moi.

A casa mia...è quasi ora di Bing Crosby!

Panettoncino con verdure alla robiola

Ingredienti per 4 persone

  • 3 patate
  • 2 zucchine
  • 2 carote
  • 1 porro
  • Marsala
  • 200 gr di robiola
  • 4 mini panettoni (quelli dei bambini, va bene con uvetta, ma non con altri ripieni)
  • Un pezzetto di burro
  • Sale&Pepe



Preparazione

Pulisci e taglia le verdure in cubetti piccoli, tranne il porro affettato sottile. In una padella ampia, fai appassire il porro con un pezzetto di burro, poi aggiungi le patate. Dopo cinque minuti aggiungi le carote e dopo altri cinque minuti aggiungi le zucchine. Sfuma con un goccio di Marsala, poi fai cuocere con il coperchio finchè le verdure risulteranno morbide, ma non disfatte. Se c'è bisogno aggiungi un goccio di acqua. Regola di sale e pepe. Quando le verdure sono pronte, manteca con la robiola.




Taglia la calotta del panettoncino con un coltello seghettato. Scava delicatamente il panettoncino, cercando di non fare buchi. Strofina l'interno con un po' di burro e lo stesso con la calotta. Poi metti in forno a 180° per circa cinque minuti.





Riempi il panettoncino con le verdure e servi caldo con la sua calotta


lunedì 11 novembre 2013

Se ti abbraccio non aver paura

Ho letto un libro meraviglioso, di quelli che aprono la mente e sopratutto il cuore, di quelli che ti pongono domande sulla vita e che ti fanno ringraziare per quelle piccole cose che riteniamo normali, ma che invece sono immense. “ Se ti abbraccio non aver paura” è il diario di bordo di una viaggio meraviglioso di un papà, Franco, e di suo figlio Andrea, un ragazzo diciassettenne bello, alto, giovane, con una criniera da far invidia a Cocciante, pieno di vita e curiosità, ma autistico.
L'autismo – che conosco da vicino – è un disturbo della funzione cerebrale e si manifesta in modalità diverse intorno ai due-tre anni di vita. Immaginate un bimbo che ripete buffamente le parole, che viene attratto da suoni, giochi colorati, che interagisce con le persone, pensate ad un bimbo che fa tutte le cose “normali” di quell'età. Ecco, ad un certo punto qualcosa si spezza e quel bambino vivace si chiude in un mondo suo, non parla più o comunque fa molta fatica a comunicare. Per un genitore deve essere una morsa che attanaglia il cuore, una prospettiva di vita difficile da accettare. Anche per Franco è stato così e dopo anni a rincorrere terapie, a viaggiare in lungo e in largo per scoprire i medici migliori, ha deciso di intraprendere un altro tipo di viaggio, senza una meta precisa, senza tabelle di marcia, senza orologio. Franco e Andrea sono stati per tre mesi in America, attraversando tanti paesi in moto, dagli Stati Uniti fino al Messico, poi in Guatemala e in non so quanti altri stati dell'America latina: hanno incontrato tante persone che inaspettatamente li hanno accolti nelle loro case, hanno visto panorami mozzafiato, rischiato diverse risse per l'esuberanza incontrollabile di Andrea – la scena in cui il papà scambia una ragazza ricciolina per Andrea e le dà uno scappellotto è esilarante – alla ricerca della felicità, qualsiasi cosa questo voglia dire. Come spesso accade, non è stato il padre a insegnare qualcosa al figlio, ma è stato proprio Andrea, con la sua fragilità, con il suo modo inevitabilmente spontaneo a insegnare a Franco a buttarsi nella vita, a fidarsi delle persone, a non aver paura.
In questo viaggio hanno anche sperimentato cucine diverse – anche se Andrea si rifugiava spesso in pizza e hamburger – ed oggi vi propongo una ricetta dall'aria messicana, da sapori un po' meno strong rispetto a quelli assaggiati da Franco, ma comunque molto gustosa. Le ali di pollo tex mex sono semplicissime da fare, basta una marinatura speziata al punto giusto e la cottura in forno, il piccante lo decidete voi a seconda dei gusti ed è obbligatorio mangiare con le mani. Un secondo molto economico, da condividere insieme agli amici con una birra ghiacciata, per un piccolo assaggio di Messico.
Ma se volete realmente viaggiare (ridere, commuovervi e pensare) leggete il libro di Fulvio Ervas e magari comprate un biglietto d'aereo.

A casa mia...libri che vorresti non finissero!

Ali di pollo tex mex



Ali di pollo tex mex

Ingredienti per 3 persone

  • 12 ali di pollo
  • 120 gr di ketchup
  • 100 ml di aceto di mele
  • 1 cipolla rossa
  • 100 gr di zucchero di canna
  • Mezzo cucchiaino di cumino
  • Mezzo cucchiaino di coriandolo
  • Sale
  • Olio di oliva
  • Qualche goccia di Tabasco (facoltativa)



Preparazione

In una ciotola capiente versa il ketchup, l'aceto, lo zucchero, le spezie, un pizzico di sale e la cipolla tagliata a dadini



Pulisci le ali di pollo e immergile nella ciotola. Aggiungi un filo di olio. Copri con la pellicola e metti a marinare in frigorifero per 2-3 ore (anche di più se potete)



Disponi le ali di pollo sulla leccarda ricoperta dalla carta forno e inforna a 180° per circa mezz'ora





Servi calde con una bella birra fredda


venerdì 8 novembre 2013

La cumpa del mare

Vivi, Fabio, Betta, io sull'albero. Geremeas estate 1992
I miei ricordi più belli di bambina e adolescente sono legati alle vacanze estive al mare dai nonni, a Geremeas, piccolo villaggio nella costa sud della Sardegna.
I motivi del mio sorriso al solo pensiero di quei giorni sono molteplici: vivevo in costume e maglietta, stavo in un posto meraviglioso con un mare da far invidia ai Caraibi, venivo coccolata dai nonni, giocavo con i miei cugini e la massima preoccupazione era se prendere al bar il Cucciolone o il Winner Taco. Che a pensarci bene, il dilemma era forte.
E poi c'era la cumpa. Era bello tornare nello stesso luogo tutte le estati e ritrovare gli amici, ogni anno più cresciuti e cambiati. Abbandonati il secchiello e la paletta, si vedevano spuntare i primi baffetti in un viso imberbe – sto parlando dei soggetti maschi, eh – i primi accenni di seno e gli occhi ingigantiti dal mascara rubato alla sorella maggiore; le corse in bicicletta venivano sostituite da lunghe chiacchierate notturne seduti sulle giostrine – le stesse che ci avevano visti bambini – e le bancherelle dei Topolini vecchi e dei braccialetti colorati, venivano soppiantate per organizzare il falò in spiaggia con chitarra d'ordinanza. Non esistevano mail, facebook e telefonini, non potevamo taggarci nelle foto dell'estate, né messaggiarci con whatsup, ma durante l'anno ci si teneva in contatto lo stesso spedendoci lettere scritte con la penna stilografica e imbucate con il francobollo leccato accuratamente.
Con Fabio c'era un legame speciale perché ci si aspettava alla sbarra per riabbracciarci, perché il suo accento napoletano conquistava tutti, perché era di una simpatia travolgente, perché era semplice ma pure gnocco, perché i nostri compleanni erano vicini. Oggi tocca a lui, domani – quest'anno ho la carogna da invecchiamento – a me. Fabio adesso è un uomo, si è sposato con una bellissima ragazza e ha una bimba stupenda; non ci vediamo da tanti, troppi anni, ma non abbiamo mai saltato la tradizione di sentirci l'8 e il 9 novembre per farci gli auguri e ricordare con tenerezza aneddoti estivi.
Oggi la ricetta di un dolce, dove possiamo spegnere insieme le candeline almeno virtualmente: la torta di pere e nocciole ha il gusto delle cose semplici e buone, quel profumo che pervade la casa e che fa stare bene, quel sapore autunnale che è sinonimo di chiacchiere sul divano con i piedi coperti da un plaid, quella autentica bontà come le amicizie di vecchia data.

A casa mia...tanti auguri a noi!

Torta pere e nocciole delle Langhe


Torta pere e nocciole delle Langhe

Ingredienti

  • 180 gr di burro
  • 200 gr di zucchero
  • 300 gr di farina
  • 3 uova
  • 1 bicchiere di latte
  • 1 bustina di lievito
  • 3 pere
  • 100 gr di nocciole delle Langhe tostate
  • 30 gr di cacao amaro in polvere
  • Zucchero a velo


Preparazione


Lavora il burro morbido con lo zucchero, fino ad ottenere una crema. Mischia il lievito con la farina. Metti da parte gli albumi e incorpora un tuorlo alla volta insieme alla farina e ad un po' di latte. Usa il latte quando l'impasto sarà troppo duro. La consistenza deve essere compatta, ma cremosa.




Trita le nocciole pulisci 2 pere e tagliale a tocchetti, unisci al resto degli ingredienti





Aggiungi il cacao, monta a neve gli albumi e incorpora dal basso verso l'alto



Ricopri la tortiera con carta da forno bagnata e strizzata, metti l'impasto e disponi l'ultima pera tagliata a spicchi a raggiera e aggiungi qualche nocciola intera.




Fai cuocere in forno a 180° per circa 40 minuti. Fai la prova stecchino per verificare la cottura.
Servi con lo zucchero a velo





martedì 5 novembre 2013

La mia prima dichiarazione di matrimonio

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Ho letto recentemente un post eccezionale sulle manie verbali della madri, sui quei modi di dire e di esprimersi che facciamo nostri anche se fino al giorno prima di partorire abbiamo criticato. Esempi random citando l'autrice poi, se volete, andate a leggere perché ne vale la pena (qui il link). Inizia una frase con “mi”, mi mangia, mi fa la cacca brutta. Dai, dite che non è vero...; parla del figlio in prima persona plurale “A noi piace tanto il fruttolo” opporcamiseria, l'ho fatto anch'io; non toccare, quella è cacca! normalmente sono le cicche di sigaretta; Si rivolge a se stessa chiamandosi “a mamma”, e io qui ho anche creato il mio personale hashtag #ammamma per quando parlo delle mie figlie; poi, qualsiasi amico diventa “zio” o “zia” del figlio. Hai visto, amore, fai ciao allo zio Paolo, indicando il panettiere. Questa è verissima. Ammetto di aver abusato anch'io, sopratutto con Nanagrande, di zii inesistenti – hai visto mai che qualcuno pensa di essere parente davvero e ci inserisce nell'asse ereditario – ma i bambini sono più intelligenti e selettivi degli adulti, per cui le mie figlie chiamano “zio” e “zia” solo quelli che effettivamente si possono fregiare del titolo e poi ci sono Lalla e Roby, i quali fanno parte di quella ristretta cerchia di amici talmente importanti, da essere considerati come membri della famiglia.
Zia Lalla e zio Roby hanno festeggiato ieri il loro tredicesimo anniversario di matrimonio e quella data è stata importante anche per me. Io e il Maritino eravamo solo amici in quel periodo – ancora per poco – ma quel giorno ho capito che c'era qualcosa di più tra di noi. E qui ci starebbe benissimo una colonna sonora di Olmo. Momento clou del ricevimento, taglio della torta, calici in alto e il Maritino-ancora-per-poco-solo-amico che con sguardo altamente alcolico mi dice “Pensa quando ci sposeremo noi due...”. Bom, la sera ho scritto centottanta pagine di diario segreto. Frase volutamente a doppia interpretazione, ma io ci ho creduto e ho fatto bene. Per cui l'anniversario di zio Roby e zia Lalla è anche la ricorrenza della mia prima dichiarazione di matrimonio, anche se forse dettata più dall'alcool. Ma si sa, in vino veritas.
Allora una ricetta che spesso si trova nei menù nuziali in questo periodo dell'anno, un piatto che non è prettamente romantico, ma dopo che lo hai assaggiato ti si scioglie il cuore. I tajarin con i funghi porcini sono la quintessenza della bontà, semplici da preparare, un primo ricco e gudurioso con cui farete capitolare il vostro lui o la vostra lei, a patto che i porcini siano freschissimi e facciate attenzione al prezzemolo tra i denti. Sai com'è.

A casa mia...buon anniversario!

Tajarin ai funghi porcini


Tajarin ai funghi porcini

Ingredienti per 4 persone

  • 500 gr di tajarin freschi
  • 500 gr di porcini freschi
  • Prezzemolo
  • 1 scalogno
  • 1 spicchio d'aglio
  • Marsala
  • Olio evo
  • Sale


Preparazione

Pulisci bene i funghi, togliendo la parte terrosa e lavandoli delicatamente sotto un filo di acqua corrente.




Taglia i funghi a tocchetti. Fai un trito con lo scalogno e l'aglio e falli rosolare in padella con un filo d'olio. Poi aggiungi i funghi, sfuma con un goccio di marsala (o del vino bianco secco) e aggiungi il prezzemolo. Falli un po' saltare, poi lascia cuocere per 10 minuti con il coperchio. I funghi rilasciano molta acqua, per cui risulterà molto umido. Regola di sale





Cuoci i tajarin e tieni da parte abbondante acqua di cottura. Fai saltare i tajarin insieme ai porcini e aggiungi un po' di acqua se la pasta tende ad asciugarsi. Servi caldo, con del grana a piacere.