martedì 24 marzo 2015

1992

Nel 1992 l'Italia è stata sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo per l'oscar al film Mediterraneo, per Mani Pulite e gli attentati a Falcone e Borsellino, forse il primo avvenimento storico che ricordo veramente. Stasera comincia la nuova serie tv di Sky intitolata appunto 1992 ed io mi sento già catapultata in quell'anno grazie anche alla programmazione televisiva di queste settimane.
Per chi come me è nato negli anni '80, gli anni '90 sono l'inizio della vita vera, il principio di quelle amicizie intense che ancora oggi resistono, dell'entrata nel magico mondo (demmerda) dell'adolescenza. Nel 1992 avevo 12 anni e frequentavo la seconda media. Portavo sempre il cerchietto un po' bombato tra i capelli, ma ero riuscita ad abolire i colletti con gli smerletti ricamati; adoravo degli shorts di velluto color albicocca da indossare con i collant, non sopportavo vestirmi di rosso e il mio negozio di riferimento era Naj-Oleari. Nel 1992 ho fatto i buchi alle orecchie e avevo un fidanzatino con cui mi incontravo furtivamente nei bagni della scuola per scambiarci un bacio – senza lingua, per carità – solo che lui si abbeverava sempre dai lavandini sbavusciandosi tutto e mi sembrava di baciare una lumaca. Poi uno dice i traumi.
Nel 1992 ero nel clou delle feste delle medie, rigorosamente di pomeriggio, con la gonna scozzese bon ton che arrotolavo sulla vita per farla più corta, patatine, panini semidolci, bicchieri con scritto il nome a pennarello e “Hanno ucciso l'uomo ragno” come colonna sonora.
Era l'anno delle sigle scritte sui bigliettini a scuola: dell'intramontabile TVTB, ma anche di SLMMA, sei la mia migliore amica, e di un pericolosissimo e mal riuscito SUGA, che a dispetto della prima maliziosa impressione, voleva dire sei un grande amico. Piccole copy crescono.
Nel 1992 sognavo un amore travolgente come Kevin Costner e Whitney Houston in “Guardia del corpo”, ballavo in cameretta con “Rhythm is a dancer” degli Snap imitando le ragazzine di Non è la Rai. E a dirla tutta era anche l'anno del Pipppero di Elio e le Storie Tese e l'inizio del mio amore per loro.
Beverly Hills 90210 era la serie del momento, ma oggi fa tutto un altro effetto: una lentezza sfiancante, inquadrature finte, dialoghi imbarazzanti, capelli fonatissimi, jeans a vita alta che manco Fantozzi, stampe floreali da far venire mal di testa ad Enzo Miccio. Ma all'epoca – sì, ho scritto all'epoca, vaccaboia - tutte le femmine volevano essere Brenda o Kelly, tutti i maschi volevano essere Dylan o Brandon, tutti i maschi volevano farsi Brenda o Kelly, tutte le femmine volevano farsi Dylan o Brandon: per distinguermi, a me piaceva Steve e avevo un ciuffo come Brandon. Poi uno dice i traumi, #2.
In Beverly Hills i problemi adolescenziali venivano risolti sempre allo stesso modo: con barattoli mastodontici di gelato. Il gelato è l'antidepressivo delle serie americane ed è anche il mio dolce preferito in assoluto.
Il gelato alla crema è il gusto per eccellenza, da mangiare da solo o da abbinare a torte al cioccolato o a tarte tatin tiepide: farlo in casa è semplicissimo e il sapore mondiale, basta avere una piccola gelatiera, anche datata 1992.

A casa mia...flashback!







Gelato alla crema

Ingredienti

  • 300 ml di latte intero
  • 250 ml di panna fresca
  • 3 tuorli
  • 90 g di zucchero
  • La scorza di 1 limone


Preparazione

Porta quasi a bollore il latte con la panna e le scorze di limone.
Separa gli albumi dai tuorli e questi montali con lo zucchero fino ad ottenere una crema spumosa.
Versa il latte sulle uova filtrando con un colino in modo da eliminare le scorze.



Rimetti il composto sul fuoco, mescola con una frusta fino a quando sarà leggermente addensato.
Fai raffreddare la crema, poi mettila nella gelatiera (ricorda di lasciare in freezer il contenitore per almeno 8 ore) e aziona la macchina per circa 40 minuti.




Gusta subito il tuo gelato oppure conservalo in freezer.


giovedì 19 marzo 2015

Io mi ricordo, e tu? Buona festa, papà!

Foto da partecipiamo.it
Il vizietto erano le caramelle Tabù che mi compravi al bar mentre bevevi il caffè.
Quando quel semaforo vicino all'asilo era rosso dovevo fare il lavoretto, quel bacio sulla guancia sporgendomi dal sedile di dietro per far passare qualche secondo e, se era verde, ti baciavo lo stesso ridendo e muovendo i codini.
Quel pianto disperato salutandoti dal lunotto posteriore della A112 perché non venivi con noi a prendere la nave per le vacanze.
Il cronometrare le mie corse da Usain Bolt sul marciapiede tra il garage e casa e i tuoi “Sei stata velocissima”.
La mia manina nella tua manona e quella faccia infastidita quando ti chiedevano “Oh, che bella cita, è tua nipote?” e la mia faccia infastidita perché cita per me era una scimmia.
Scrivere con la mia grafia elementare “Langhe” e “Roero” sulle etichette bianche per il vino appena imbottigliato insieme e ridere perché tutte le volte che dicevo “Roero” mi si arrotolava la lingua per le erre mosce.
Mi piaceva far suonare le corde della chitarra mentre tu facevi gli accordi e cantare “Le carrozze son già preparate...” era la migliore ninna nanna.
Quel gioco che durava il tempo di un ascensore in cui facevamo finta di essere due condomini – Oh, buonasera! Come sta la famiglia? - e finiva che mi invitavi a cena, a casa nostra.
Le litigate perché non ti piacevano le scarpe che compravo, perché non erano “classiche” ed io rivendicavo la moda e i miei gusti personali: avevi ragione, quelle scarpe con la punta quadrata facevano cagarissimo.
Ho un vuoto di noi nell'adolescenza. Ma chi li capisce gli adolescenti?
Quel ballo improvvisato in camera mia mentre lo stereo suonava “Yo romperé tus fotos”, credo l'unica canzone de La Mosca.
La tua lentezza sfiancante nel giocare a carte e i tuoi “putèn” quando sbagliavi. Ma non ho ancora capito in che lingua fosse quell'imprecazione.
La tua delicatezza nel chiedermi al mattino, con la faccia assonnata e i neuroni ancora in catalessi, “posso parlarti?”.
Quella volta che in bagno avevo pianto, mi ero asciugata gli occhi per non farmi vedere, ma tu ti sei seduto sul bordo della vasca e mi avevi chiesto “Vuoi parlare?”. No, non volevo parlare, ma non mi sono sentita sola.
Quell'ultima strana notte di Natale trascorsa su un traghetto a ridere e a bere Corvo bianco.
Quel caffè offerto da me, perché ormai ero grande, in quel sabato uggioso, in quel baruccio sfigato affianco al negozio di abiti nuziali in cui saremmo andati poco dopo, noi due soli, a scegliere il mio vestito da sposa che non mi hai più visto indossare.
Quel sorriso che facevi solo a me.
Io mi ricordo, e tu? Buona festa, papà!


Stamattina ho aperto facebook e sono stata sommersa da status sulla festa del papà, da cuori per i papà, da foto con papà. Che manco mi ricordavo che oggi era la festa del papà. E stamattina neanche il Maritino è stato festeggiato, pessima moglie che sono. Mi è un po' venuta la carogna sulle spalle da pessimismo&fastidio, poi la mente ha cominciato a viaggiare e le dita sono andate da sole sulla tastiera del computer. A volte le parole escono quando meno te le aspetti. E pure le lacrime.
La ricetta di oggi, per nulla programmata, è un soufflè di fave con una salsa al pecorino, un antipasto vegetariano che sa di primavera, perfetto per oggi, perché a mio papà piaceva tanto sgranare le fave, tagliare il pecorino a tocchi e farsi un aperitivo con un bicchiere di vino. Ricordi. Un sorriso. La vita.

A casa mia...oggi è così.

Soufflè di fave con salsa al pecorino

Soufflè di fave con salsa al pecorino

Ingredienti per 6 persone

  • 3 uova
  • 200 g di fave
  • 1 scalogno
  • 50 g di burro
  • 200 g di parmigiano grattugiato
  • 500 ml di panna fresca
  • 2 cucchiai di farina
  • 200 g di pecorino sardo
  • Sale&Pepe
  • Burro per gli stampini


Preparazione

Sbollenta le fave per qualche minuto in modo da poter togliere la pellicina esterna con più facilità. Fai sciogliere il burro in una padella e metti a rosolare lo scalogno tagliato fine e le fave. Regola di sale e cuoci finché le fave non saranno morbide.



In un pentolino metti a scaldare metà della panna con il pecorino tagliato a tocchetti fino a farlo sciogliere e creare una fondutina. Regola di pepe.



Separa i tuorli dagli albumi. Sbatti i tuorli con sale e pepe e aggiungi il parmigiano. Aggiungi la panna rimaste, le fave precedentemente frullate e la farina. Usa una frusta per non creare grumi.
Monta a neve gli albumi e aggiungili al composto delicatamente.



Imburra gli stampini e riempi con il composto. Cuocili a bagno maria nel forno a 180° per circa 30-40 minuti.

Servi lo sformatino caldo con la salsa di pecorino tiepida


mercoledì 18 marzo 2015

Signora, a me?!

C'è un momento in cui la verità ti viene sbattuta in faccia con crudeltà, rimani attonita, scombussolata, e non puoi fare altro che riflettere e farti domande: arriva per tutte il momento in cui per strada, in un negozio o nell'androne di casa qualcuno ti dice “Buongiorno signora”. Signora?! Opporcaccialamiserialadra. Signora, a me?! Ma, ma io andavo al liceo fino a ieri, metto le Tiger con i jeans, ho i capelli lunghi – e si sa, le signore si tagliano i capelli – mi dimentico di mettere la crema sul viso, accumulo i vestiti sul davanzale della finestra, non sempre bevo responsabilmente e scrivo amenità nella chat con le amiche. Io sono una ragazza!
E lasciamo stare il fatto che sono passati quindici anni dalla matura – senti come parlo gggiovane? - che sono sposata da dodici e sono madre di due figlie, questi sono dettagli trascurabili. Fino a quanti anni ci si può considerare una ragazza? C'è un'età in cui si passa ad essere una donna oppure è solo una questione di status sentimentale e familiare? Ho trentaquattro anni, non ho rughe né capelli bianchi, signora a chi?!
Mi sono sposata molto giovane, a ventidue anni, e dopo due anni è arrivata Nanagrande; mentre le mie amiche facevano l'università e raccontavano del tipo che si erano beccate in discoteca, io cambiavo pannolini e avevo tutte le maglie sporche di rigurgito; mentre le mie amiche si compravano una maglietta attillata, io facevo la ola per un'offerta speciale sull'anticalcare; mentre le mie amiche progettavano un weekend di follia al mare, io sognavo solo otto ore di sonno filato. A pensarci, ero molto più una vecchia signora dieci anni fa che non adesso.
Che poi, a dirla tutta, il galateo prevede che una non sia più signorina una volta compiuti i diciotto anni, ma come disse l'anziana nonna toscana di un amico “Oh se una signorina c'ha il buho da signora, come si hama, boia deh?”. Saggezza.
Se c'è una cosa che accomuna ragazze alle prese con lo studio e donne multitasking che incastrano lavoro, figli e casa, è la necessità di caffè. A litri.
Il gelo al caffè è una bomba di caffeina, un dolce che è una vera carica e, presentato a fine pasto, può sostituire il classico caffè in tazzina. Un dolce tipico siciliano, a metà tra un budino e una gelatina, una cicaronata di caffè e zucchero a forma di ciambella con dentro tanta panna montata per affrontare una serata di sculettamenti in discoteca o per una notte insonne a cullare un pargolo urlante.
Va bene, sono una donna. Ma giovane.

A casa mia...sentirsi giovani!

Gelo al caffè

Gelo al caffè

Ingredienti

  • 1 litro di caffè della moka
  • 300 g di zucchero
  • 70 g di maizena
  • 500 ml di panna fresca



Preparazione


Prepara le caffettiere fino ad ottenere un litro di caffè. Fallo raffreddare. Poi aggiungi lo zucchero e mescola con una frusta. Aggiungi la maizena e metti sul fuoco continuando a girare con una frusta per evitare grumi.




Cuoci il composto di caffè fino a quando si addenserà come una crema. Versa nello stampo a ciambella e lascia intiepidire. Riponi nel frigo per almeno 24 ore.




 Prima di servire, sforma il gelo sul piatto da portata, monta la panna ben fredda (se vuoi puoi aggiungere un po' di zucchero a velo) e servi insieme.


giovedì 12 marzo 2015

La ricetta perfetta di Enrica Tesio

La casa di Dora è accogliente, ci si sente a proprio agio e viene voglia di togliersi le scarpe e sedersi sul suo divano con le gambe rannicchiate; bisogna solo fare attenzione a non farsi male pestando pezzi colorati di costruzioni e animaletti di gomma dura che fanno suoni molesti. Le parete sono, secondo me, bianche (dico “secondo me” perché oggi come oggi tutti possono essere daltonici, non capendo più se un vestito è bianco e oro oppure nero e blu), i quadri appoggiati alle pareti, forse per una scelta stilistica, forse perché manca un uomo alto per appenderli.
La casa di Dora è sempre aperta, basta citofonare e si trova sempre un tavolo libero in cucina: gusti semplici, familiari, una bottiglia di vino da stappare, da bere insieme alla padrona di casa tra una chiacchiera e una risata, una citazione dei Goonies, un nostalgico ricordo dei locali dei Murazzi e, quando si è un po' brilli, si può cantare a squarciagola “Ufo robot, Ufo robot...maaaa chi è? Maaaa chi è? Sto cazzoooo!”. C'è anche la sala fumatori, sul balcone. Ma ci si può rollare anche una cannetta senza essere giudicati.
Dora ti propone il suo menù degustazione con grazia e sicurezza, sapendo dosare perfettamente gli ingredienti: risate – di quelle che cominciano con un grugnito perché si tenta di trattenerle e poi ti fanno sussultare la pancia come una danzatrice del ventre – commozione che fa venire l'occhio lucido, riflessioni e pensieri profondi che trovano origine in una bambina che raccoglie pinoli fino ad arrivare ad una donna adulta, che però ne conserva la stessa tenerezza, una mamma che vuole diventare madre. Dora serve pagine da chef stellato, in cui ritrovare la propria identità, perché parlano di lei, della sua vita, dei piccoli Pietro e Micol, del suo ex che è stato l'Amore vero, di gatti “scoleggioni” perché forse troppo felici, di un'amica vera, di un bidello poeta barbuto che gli fa da tata, ma parlano anche di te e della tua vita.
Recensire ristoranti mi è sicuramente più congeniale: descrivere una sala, il servizio, se i grissini sono fragranti o meno, raccontare un piatto nei suoi colori, consistenze e sapori. Ma come disse uno molto (ma molto) famoso, non di solo pane vive l'uomo.
Dora è l'alter ego di Enrica Tesio, “La verità,vi spiego, sull'amore” è il suo primo romanzo, uno di quei libri che vorresti non finissero mai, esattamente come un buon piatto.

Il roastbeef con fragole e vinaigrette di senape è una ricetta primaverile, colorata, allegra, veramente buona. La carne, fatta cuocere poco come gli inglesi ci insegnano, rimane rosata e succosa, le fragole donano dolcezza e buon umore, la senape apparentemente contrastante, unisce tutti i sapori con la sua giusta acidità. Un piatto da assaporare possibilmente all'aperto, il fruscio delle foglie di sottofondo e un libro di fianco a fare compagnia, quello della Tesio, of course, perché lei ha trovato la ricetta perfetta.

A casa mia...”la felicità di un bambino si misura in dita di sporco lasciate sulla vasca”.

Roastbeef con fragole e vinaigrette di senape

Roastbeef con fragole e vinaigrette di senape

Ingredienti per 4 persone

  • 500 g di noce o fesa di manzo
  • 1 scalogno
  • 1 rametto di rosmarino
  • 2 cucchiai di senape
  • 300 g di fragole
  • Insalata a piacere
  • Olio evo
  • Sale


Preparazione

In una casseruola metti un po' di olio con il rosmarino e lo scalogno tagliato a pezzi grossi. Quando l'olio è caldo, fai rosolare la carne da tutti i lati con il fuoco alto. Sala. Poi abbassa la fiamma e cuoci per 20 minuti girando a metà cottura. (Per il roastbeef, 20' ogni 500 g di carne).



Togli la carne dalla casseruola e mettila su un piatto inclinato e mettici sopra un peso (io ho usato un pacco di sale grosso) in modo da far uscire i liquidi.




Quando la carne è fredda tagliala e disponila sul piatto con le fragole tagliate e l'insalata. Fai una vinaigrette con senape e olio, mettine a piacere sopra le fragole. Il fondo di cottura della carne puoi filtrarlo e bagnare un po' la carne per insaporirla ancora di più.


giovedì 5 marzo 2015

#striscianospoiler

Tranquilli e sereni, questo blog non ama le cose striscianti e non farà nessuno spoiler per la finalona di Masterchef in onda stasera, anche perché sono riuscita, fino ad ora, a dribblare le notizie uscite furtivamente in questi giorni.
E anche se sapessi già il nome del vincitore, nessuno mi toglierebbe il divertimento della puntata finale perché la cosa che più mi piace è vedere che cosa cucinano e come lo fanno.
Ma ora, dopo quasi un anno, posso finalmente fare il mio personale #striscianospoiler: sì, anch'io ho fatto le selezioni per Masterchef! Ovviamente, non avendomi vista in video, ne potete dedurre che non le ho passate, ma è stata un'esperienza molto divertente. Ho sempre detto che Masterchef non fa per me, che il mio istinto di autoconservazione mi impedisce di farmi maltrattare e la mia autostima subirebbe un grosso contraccolpo al primo piatto lanciato, ma quando la redazione mi ha chiamata per chiedermi se volevo fare le selezioni, il mio ego si è messo a gongolare. Oltre al Maritino, l'unica persona che ho chiamato è stata la Mufi: mi è stato imposto il silenzio stampa e anche adesso non vi racconterò troppi dettagli perché non vorrei conoscere i legali di Sky, che in questi giorni si stanno già ampiamente sollazzando.
La prima cosa a cui pensare era il piatto da presentare, sapendo che doveva essere cucinato a casa e che sul posto poteva giusto essere scaldato dopo ore e ore di attesa: per cui avanti con gli stress test sul mio sformatino di carote e nocciole – ribattezzato poi “tortino di diludendo” - ricetta che ho scelto perché è legata ai miei primi successi in cucina, perché racconta un po' della mia regione e soprattutto è facile da trasportare e non mi avrebbe incasinato. Partenza alle sei del mattino con la Mufi, perfetta compagna d'avventura, un sole splendente, sonno pazzesco, Elio a palla – sono il puma di Lambrate - e adrenalina a mille dopo aver ricevuto il mio bel numerino adesivo. Ho visto gente che voi umani...c'erano quelli che si erano portati tutta la cucina in un trolley che Paris Hilton lévati; quelli che si sono fatti accompagnare dall'intera famiglia, compresi i cugini di quinto grado; quelli che ripassavano termini tecnici culinari come se dovessero partecipare ad un quiz di Gerry Scotti e alla prima brunoise sbarravano gli occhi manco avessero davanti il pagliaccio di Hit; quelli che fumavano nervosamente come i padri in attesa del primo figlio; quelli che se la tiravano pensandosi già gli eredi di Cracco e poi c'ero io, sdraiata per terra a prendere il sole, a ridere e a smezzare un birrozzo con l'amica del cuore. Alla fine ero lì per cucinare, mica per scindere l'atomo. Sono passata in tardo pomeriggio e poco prima di me c'era una ragazza con i capelli ricci legati, una camicia scozzese aperta, un bel sorriso e ho pensato che quella, sì, poteva farcela: era Maria, concorrente uscita alla nona puntata. Il mio sesto senso funziona.
È stata una giornata lunga, una bella esperienza che porterò nel cuore: cercare nuove combinazioni in cucina e curare la presentazione dei piatti mi appassiona e chissà dove mi porterà nel prossimo futuro, ma meglio farlo senza lo stress di una gara.
La ricetta del dolce di oggi nasce proprio dall'idea di reinventare il binomio proverbiale pere e formaggio: così ho creato un semifreddo di pere con gocce di cioccolato abbinato ad una spuma di ricotta di bufala piemontese. Un dolce semplice, ma di grande effetto, un'esplosione di gusto e delicatezza.
E comunque il cuoco ciacione che ha assaggiato con faccia sfingica il mio tortino di diludendo, si è leccato i baffi. Tiè.

A casa mia...e alloooooooooooora!

Semifreddo di pere e gocce di cioccolato con mousse di ricotta di bufala

Ingredienti per 8 persone

  • 4 pere william mature e succose
  • 4 cucchiai di zucchero
  • 250 ml di panna fresca
  • 50 g di gocce di cioccolato
  • 100 g di ricotta di bufala piemontese freschissima
  • Cacao amaro in polvere




Preparazione

Sbuccia le pere, elimina i semini e taglia a pezzetti. Aggiungi lo zucchero e frulla fino ad ottenere una purea.



Aggiungi le gocce di cioccolato. Monta la panna ben fredda e incorpora con delicatezza dal basso verso l'alto. Metti il composto in cocotte rivestite di pellicola e metti in freezer per almeno 4 ore.




Passa la ricotta al setaccio e lavorala per ottenere una crema e mettila in una sac-à-poche. Togli il semifreddo di pera almeno 10 minuti prima di servirlo: adagialo sul piatto e servi con la mousse di ricotta spolverizzata con il cacao.


martedì 3 marzo 2015

Olà, você é linda

Foto di Biodiversipedia
Lei aveva lunghi capelli biondi, gli occhi appena truccati con un po' di matita blu, le unghie ancora smangiucchiate durante i pomeriggi passati sui libri di filosofia e di greco, un fisico che le sembrava sempre inadatto confrontandolo con quello delle amiche più magre e perfette anche con una tuta. Aveva diciotto anni e quella fresca e inconsapevole bellezza che si ha solo a quell'età. Era stufa di innamorarsi di ragazzi che la trovavano molto simpatica, che le dicevano “Quanto sto bene con te, mi fai scassare dal ridere!” ma che poi le chiedevano il numero di telefono dell'amica. Lei, inguaribile romantica, sognava il principe azzurro, sperava di essere la burrosa Brenda spaesata dal trasferimento dal Minnesota, ma che poi si beccava il più figo della scuola e non sopportava le Kelly super perfette, in agguato per rubarle il suo Dylan.
Era a Lisbona, una serata trascorsa con gli amici ai Docas sulle rive del fiume Tejo, una birra, una partita a biliardo.
Dietro al bancone c'era lui: bello, alto, con i capelli neri tagliati corti, gli occhi verdi, profondi e vivaci, sembrava Tom Cruise in Cocktail – che, vorrei dire, tantissima roba - e la guardava insistentemente con un sorriso stampato sulle labbra. “Olà, você é linda”. Ciao, sei bellissima. Le regalò una rosa rossa e lei si innamorò.

Questa è una storia vera, la lei descritta sono io, ero proprio in Portogallo in gita scolastica e quell'incontro romantico è realmente accaduto. Ma ci sono particolari tralasciati: lui si chiamava Nunu, troppo simile come assonanza allo “gnugnu” piemontese, e dopo quella rosa non mi cagò più di striscio. Maronn' quante pagine di diario scritte! Quella rosa – ormai rinsecchita – è stata sulla mia scrivania, dentro ad una bottiglia di Smirnoff, per tantissimo tempo; avevo anche composto una canzone – eh, quand'ero giovane ero sempre con la chitarra in mano - dedicata a questo amore straniero, sempre in attesa del principe azzurro che, non potevo sapere, sarebbe arrivato un paio di anni dopo, senza neanche dover baciare una rana, e che oggi risponde al nome de Il Maritino, l'amore vero.
L'unica rana che vale la pena di tenere in mano è la pescatrice: infarinatela leggermente, fatela cuocere a fuoco lento con spicchi di limone e saporiti pomodori secchi che sanno di sole. La rana pescatrice è un pesce dalla carne molto soda, il filetto è senza spine per cui perfetto anche per i bimbi: provatela per un secondo veramente al bacio.
E la morale – perché c'è una morale – è che non importa che tu sia un portoghese o un uzbeko, l'importante è che se non mi caghi, me lo dici prima.

A casa mia...bom dia!

Rana pescatrice con limone e pomodori secchi

Rana pescatrice con limone e pomodori secchi

Ingredienti per 6 persone

  • Una pescatrice (o coda di rospo) già pulita da circa 800 g
  • 80 g di pomodori secchi
  • 1 limone piccolo
  • 1 rametto di timo
  • 1 foglia di alloro
  • 1 spicchio d'aglio
  • Farina per infarinare
  • Mezzo bicchiere di vino bianco
  • Olio evo
  • Sale e Pepe


Preparazione

Lega la rana pescatrice con dello spago o con gli appositi laccetti di silicone, in modo che tenga la forma e infarinala. In una casseruola fai scaldare un po' di olio con lo spicchio d'aglio. Fai rosolare bene il pesce da tutti i lati, poi sfuma con il vino.




Abbassa la fiamma e aggiungi i pomodori secchi tagliati a listerelle, il limone tagliato a spicchi, il timo e l'alloro. Chiudi con un coperchio e lascia cuocere per circa 20 minuti. Trascorso il tempo, togli il coperchio, regola di sale e pepe e lascia cuocere ancora qualche minuto.





Servi la rana pescatrice con il suo sughetto, accompagnata da un contorno di stagione