giovedì 27 febbraio 2014

Ugo Alciati, una stella in cucina

Credit: foto di Ugo Alciati
Meraviglia. Estasi. Gioia. Sono le sensazioni che ho provato ieri sera al Guido Ristorante, grazie allo chef Ugo Alciati: il mio debutto culinario stellato. Non scrivo queste cose per piaggeria, né mi è stato commissionato un post sponsorizzato – poi se Ugo volesse, gli mando le coordinate bancarie - ma sento il desiderio di condividere con voi un'esperienza di felicità. Sì, perché di esperienza si tratta, non solo di una buona cena. Non ho fatto una foto, neanche un veloce selfie per twittare “Ehi raga, invidiatemi, sono da Alciati alla facciazza vostra!” - anche se ne sarebbe valsa la pena perché mi ero messa un po' in tiro per la serata con il Maritino e facevo la mia porca figura. Il mio Iphone è rimasto tutta la sera in borsa con l'unico scopo di essere raggiungibile dalla babysitter, per cui dovrete fidarvi delle mie parole.
Intanto il posto dove si trova Guido Ristorante è meraviglioso, all'interno della riserva bionaturale di Fontanafredda a Serralunga d'Alba, nella Villa Contessa Rosa: sale ottocentesche dai soffitti affrescati che rivivono una seconda giovinezza con il contrasto della linearità moderna che contraddistingue la recente ristrutturazione. L'accoglienza è cordiale, di livello, ma senza risultare falsa o stucchevole, e raggiunge la perfezione con un calice di Alta Langa: chi ben comincia è a metà dell'opera e io sono già conquistata con le bollicine. Come aperitivo una piccola sfoglia con trota salmonata e un'insalatina di ceci con un boccone di tonno stagionato dieci anni: altro che tonno che si taglia con un grissino! Antipasti scelti: lingua con il suo bagnetto rosso e gallina bianca con uovo al vapore e tartufo nero. La lingua – che io non ho mai amato – fatta cuocere per una notte intera a vapore, si presentava come un regalo dentro un pacchetto di una sottile zucchina, si scioglieva al palato e con la salsa era il trionfo piemontese in bocca; la gallina morbida, succosa, avvolta come in un abbraccio dal tuorlo d'uovo che spaccandosi circonda le verdurine cotte alla perfezione e cerca il tartufo come compagno di vita. Tra i due piatti non so chi vince.
Primi scelti: tagliatelle ai 30 rossi – ma poi Ugo mi ha rivelato che sono 38-39 per un chilo di farina, ma scrivere “tagliatelle 39” gli sembrava brutto – con tartufo bianco conservato in salamoia e porcini disidratati, e gnocchi di zucca con ragout di salsiccia di Bra e radicchio. Allora, le tagliatelle erano buonissime, ma il tartufo si sentiva proprio poco, il porcino tende a coprire con il suo gusto marcato. Il tartufo bianco, a mio parere, va mangiato nella sua stagione a suon di sonore grattate. Gli gnocchi erano strepitosi: forse il mio è un paragone irrispettoso, ma avete presente la scioglievolezza dei cioccolatini Lindt? Ecco, lo gnocco di Alciati è così, si scioglie in bocca: il sapore dolce della zucca contrastato meravigliosamente dalla salsiccia di Bra ridotta a ragout finissimo, le foglioline tenere di radicchio – che all'inizio pensavo fossero solo belle esteticamente per la contrapposizione di colore – sono il completamento perfetto per bilanciare i sapori e le consistenze. Fuori concorso l'assaggio di Agnolotti di Lidia al tovagliolo: agnolotti cotti. Punto. Senza condimenti, senza nulla, coperti da un tovagliolo come da antica tradizione piemontese, nudi, così come chef li ha fatti: il paradiso. E non aggiungo altro.
Secondi scelti: arrosto di vitella della Granda “al cucchiaio”, e “Caldo e freddo” di faraona e fegatini con salsa al marsala. Poi, visto che la responsabile di sala ha notato quanto apprezzassimo, ci ha tenuto a portarci anche il baccalà al vapore con patate e carciofi. Stimo immensamente questa donna. Al terzo posto si classifica l'arrosto, talmente tenero da poter essere mangiato con un cucchiaio: ovviamente buonissimo, ma sapori e consistenze più familiari. Al secondo posto il baccalà, leggero, delicato, con la nota agrumata del limone e lo sprint della bottarga, la patata morbida, il carciofo cotto con maestria: meraviglia pura senza fronzoli. Al primo posto, senza discussioni e deciso all'unanimità, la faraona, con i suoi fegatini adagiati su un pan brioche. Non riesco a descrivere il piatto se non con una parola: godimento.
Prima dei desserts, due piccole sfoglie di pane con crema di gorgonzola e di pecorino, perché siamo in Piemonte e la buca l'è nen straca se la sa nen ad vaca (la bocca non è stanca se non sa di vacca). Dolci scelti: bignè alla nocciola e crema di zabajone tiepido, e semifreddo di zenzero con torta calda alle mele. Poi, la dolce ragazza sopra citata non si è accontentata della stima, voleva proprio essere amata e ci è riuscita portandoci anche la pesca con crema di nocciole. La pasta dei bignè era di una leggerezza mai sentita, un dolce estremamente goloso e un po' “maialo” - infatti l'ha scelto il Maritino – il semifreddo di zenzero, invece, è un dolce veramente elegante che ben si adatta ad essere servito ad ospiti con sangue blu nelle vene, meraviglioso il contrasto di temperature tra il semifreddo e il tiepido della torta di mele. Per concludere, una piccola pasticceria degna di un maestro pasticcere, una meringa con panna che aveva la consistenza di una nuvola.
Abbiamo finito la serata con una bella chiacchierata con lo chef Ugo Alciati che mi ha raccontato alcuni segreti della sua cucina, che usano sette tipi di farina diversi – non kamut, integrali o chissà cosa, proprio farina 00 - a seconda delle preparazioni, che a lui il coniglio non è che faccia impazzire, che dovevamo assolutamente assaggiare il fiordilatte mantecato al momento e che i suoi colleghi chef – parliamo di stellati, non di Gigetto della trattoria “da Gigi” - lo chiamano per chiedergli come fa le meringhe, perché a loro non vengono così buone. Non solo una stella Michelin, ma una stella in cucina.
Un consiglio spassionato: andate da Guido Ristorante, io ci tornerò.
In tutto questo, ieri sera ho fatto un bel gesto dell'ombrello alla mia dieta, ma oggi si torna in carreggiata con un piatto light di gran gusto. Le melanzane alla pizzaiola nascono dalla mia voglia spropositata di parmigiana, ma sono con pochissimi grassi - solo due cucchiai di olio come dietologa ha prescritto – hanno bisogno di una preparazione brevissima e si cuociono in forno: un po' di pomodoro, una spolverata di parmigiano, origano e qualche cappero per un piatto perfetto per la dieta, ma che regala il sorriso.
Io è da ieri sera che non smetto di sorridere.

A casa mia...la prima stella non si scorda mai!

Melanzane alla pizzaiola light

Melanzane alla pizzaiola light

Ingredienti per 4 persone

  • 1 melanzana
  • 400 g di polpa di pomodoro
  • 2 cucchiai di parmigiano grattugiato
  • 2 cucchiai di olio evo
  • Capperi
  • Origano
  • Sale


Preparazione


Taglia la melanzana a fette di circa 1 cm e disponile sulla teglia del forno ricoperta di carta forno. Sala leggermente e versa l'olio



Su ogni fetta metti un cucchiaio di polpa di pomodoro, regola di sale, cospargi con l'origano, un po' di parmigiano e aggiungi 1-2 capperi per ogni fetta





Fai cuocere in forno a 220° per 15-20 minuti. Lascia riposare fuori dal forno per qualche minuto e poi servi calde


lunedì 24 febbraio 2014

Dopotutto sono una buona madre

Ecco, sì. E' stato proprio un weekend rilassante. Sabato c'era un sole meraviglioso, era una di quelle giornate che mettono il buon umore: visita dalla dietologa – qualcuno, ridendo, ha detto che io sto alla dietologa come un prete al bordello. Eggrazie – obiettivo del mese raggiunto, gioia e gaudio. Per festeggiare, giornata madre e Nanagrande sugli sci alle porte, niente di meglio. Siamo andate a Lurisia e dalle piste si gode di un panorama mozzafiato: montagne innevate e davanti colline e pianura a perdita d'occhio, come se avessimo avuto il Piemonte ai nostri piedi. Come sono gli impianti sciistici? Proprio non lo so dire. Primo skilift, eravamo in cima alla montagna, Nanagrande, facciamoci una foto insieme prima della discesa, ammamma. Sto per mettermi i guanti e lei parte, come un missile terra-aria, perdendo il controllo degli sci in pochi secondi. Una scheggia impazzita che si sta per scontrare contro le persone che stanno salendo con il piattello sulle chiappe e urlano come matti. Ettecredo, poteva fare filotto e non stavo qui a raccontarvelo. Avete presente la scena di Fantozzi sugli sci che poi finisce sul tagliere della polenta? Ecco, una cosa del genere. Solo che Nanagrande è caduta quasi subito. Per fortuna non si è fatta nulla, se non una botta e qualche graffio sulla faccia, ma si pensava ad una lussazione della spalla, quindi taboga, ambulanza, pronto soccorso. Insomma, neanche una pista. O meglio, io alla fine l'ho fatta seguendo il taboga. Mentre i soccorritori stavano effettuando tutte le loro operazioni, io tranquillizzavo Nanagrande che alle parole “medico e ospedale” era andata in paranoia – in casa è soprannominata madre coraggio – e ragionavo ad alta voce: allora, vado in ambulanza, ma la macchina? Gli sci affittati dove li metto? E se li rubano? Devo pure pagare. Il Maritino lo chiamo dopo, che sennò gli viene una sincope. E poi dall'ospedale come minchia torno qui? Insomma, cercavo di gestire la situazione. E uno dei soccorritori con aria un po' saccente mi dice: “Signora, non è il momento di pensare alla macchina, è più importante sua figlia”. Madoooo, mi stava per scattare la viulenza. Una scena analoga era successa tanti anni fa quando Nanagrande era ancora piccola ed era venuta a casa una rappresentate di quegli aspirapolvere che aspirano, battono tappeti, tolgono acari e fanno forse anche il caffè, e che costano quanto un monolocale. Che il mio obiettivo era quello di farmi pulire casa gratis con la dimostrazione, mica di comprarlo. Anche le rate erano uno sproposito e la signora tentò prima la carta della pena Se lo comprate, io posso finalmente andare in vacanza dopo dieci anni, vi prego, sono povera e ho tutta la famiglia a carico, poi vedendo la nostra resistenza, mise in scena l'atto finale, puntando sul senso di colpa genitoriale: finta telefonata al grande capo per uno sconto e con grande maestria disse Eh, no... i signori dicono che è troppo caro, non vogliono investire neanche un euro al giorno per la salute della propria figlia! Minchia, ma io ti spacco il setto nasale!
Per consolare la mia piccola Isolde Kostner – forse dopo sabato perderà il diritto di essere chiamata così – un piatto che a lei piace tanto, il risotto con i porri e la salsiccia. Il porro tagliato sottile, usato al posto della cipolla per il soffritto, la salsiccia fresca fatta rosolare appena e poi portata a cottura con il riso che rimane morbido e cremoso con la mantecatura finale, sapori decisi ma allo stesso tempo delicati, un piatto meraviglioso. Dopotutto sono una buona madre.
Comunque, tutto è bene quel che finisce bene: Nanagrande non si è fatta nulla e a casa può giocare con acari grandi come elefanti.

A casa mia...per quest'anno credo sia finita la stagione sciistica!

Risotto porri e salsiccia

Risotto porri e salsiccia

Ingredienti per 6 persone

  • 1 porro
  • 100 g di burro
  • 600 g di riso Carnaroli
  • Brodo qb
  • Vino bianco secco (per me Marsala)
  • 400 g di salsiccia
  • Parmigiano grattugiato
  • Pepe



Preparazione

Taglia il porro a rondelle sottili, poi fallo appassire in padella con metà del burro. Aggiungi la salsiccia spellata e tagliata a tocchetti di circa 1 cm di spessore.




Quando la salsiccia è rosolata, ma ancora cruda, versa il riso. Fallo tostare a fiamma vivace. Poi sfuma con il vino, lascia evaporare l'alcool, poi continua la cottura del riso versando mestoli di brodo di tanto in tanto.




Quando il riso è a cottura, manteca con il burro rimasto e parmigiano. Servi con una macinata di pepe nero.











mercoledì 19 febbraio 2014

Sanremo è social

In questi giorni l'Italia è divisa. No, non per questioni politiche – anche se...vabbè, lasciamo stare - per dibattiti epicurei o kantiani. No. Il nostro Paese è diviso tra quelli che guardano Sanremo e quelli che lo schifano. Io, ovviamente, pop nell'anima, faccio parte della prima categoria. Vi dirò di più, mi segno sull'agenda le date del Festival, in modo da non prendere impegni in quei giorni. Disturbatissima. Perché Sanremo è Sanremo! Un carrozzone colorato, spesso molto trash, ma che è parte imprescindibile della cultura italiana, si ami o si odi. Ieri sera è partito già in salita, con il numero dei tecnici attaccati alla balaustra, un deja vu di baudiana memoria, un'invecchiata ex modella figona che ad ogni sorriso faceva morire un ortodonzista, un emiliano che cantava in genovese e una settantenne che era più snodata della Barbie. Ma l'avete vista la Raffa nazionale? Ha ballato come una ventenne e manco aveva il fiatone, mentre io quando faccio le scale a piedi devo fare attenzione a non inciampare nella mia lingua e dopo devo prendere un Polase. Un grande circo dove le canzoni erano la cosa meno importante. Ma Sanremo è anche questo, un grande show. Alle 23, con il Maritino che russava sonoramente sul divano ho deciso che poteva bastare, anche se mancavano ancora diversi cantanti in gara. Mi rifarò stasera. Ma la cosa più divertente del Festival è l'aspetto social: twitter intasato di cinguettii divertenti e irriverenti che ti fanno rimanere incollato alla tv solo per commentare. C'è una finta Jessica Fletcher che dice: “Non mi annoiavo così tanto da quando non c'era rimasto più nessuno da uccidere a Cabot Cove”; un ragazzo di nome Matteo critico con i presentatori: “Mi mancano la Fenech e Andrea Occhipinti”; la Cetty che commenta il bassista con il volto coperto che suona con Gualazzi: “Gente, l'uomo ragno è sul palco, gli 883 ci hanno mentito per anni”. Vale la pena di vedere Sanremo solo per questo.
Visto che la diretta dura più della Quaresima, ci vuole un pasto leggero che aiuti a non avere subito l'abbiocco. In questo periodo di dieta controllata – potrei uccidere per una lasagna – sono alla continua ricerca di piatti buoni ma light, di modi di cuocere diversi che abbiano bisogno di pochi grassi. Ho provato ad usare la carta fata, una sorta di pellicola che può andare in forno e che permette di cucinare senza aggiungere condimenti. Ho preso un bel trancio di salmone, un fetta di limone, della barbetta di finocchio, pepe, sale, qualche bacca di ginepro che dà profumo, un bel fagotto con la carta, venti minuti in forno e voilà, un piatto fantastico, saporito e veramente light. Talmente buono che vi farà cantare.

A casa mia...ci sono anche le schede di valutazione!

Salmone al forno in carta fata

Salmone al forno in carta fata

Ingredienti per 4 persone

  • 4 fette di salmone fresco a tranci (circa 600 g)
  • 1 limone
  • 1 finocchio
  • Pepe rosa
  • Bacche di ginepro
  • Sale



Preparazione


Sistema il salmone sulla carta fata, salalo leggermente, aggiungi qualche bacca di ginepro, di pepe rosa e una fettina di limone. Taglia la barbetta del finocchio e aggiungila.



Chiudi la carta fata facendo un cartoccio, chiudendo le estremità con dello spago da cucina o con i laccetti in dotazione con la carta.




Cuoci in forno a 200° per circa 20 minuti. Servi il salmone direttamente con la carta. Aprendo la carta si sprigioneranno tutti i profumi del pesce.


venerdì 14 febbraio 2014

Ma quando ti amo?

Foto da ristorantesportingclub.com
Quando prepari il caffè e non ti ricordi mai se voglio il latte.
Quando cucino e mi sorprendi da dietro con un abbraccio.
Quando il cassetto delle mutande è vuoto e non ti arrabbi.
Quando cambi il pannolino a Nanapiccola.
Quando suoni il pianoforte con Nanagrande.
Quando guardi con me Masterchef mentre c'è la semifinale di Coppa Italia.
Quando aspetti di mangiare perché devo fare le foto al piatto.
Quando andiamo al cinema e dividiamo il crackers della dieta mentre gli altri si sfondano di pop corn.
Quando mi dici che devo scrivere un libro.
Quando in macchina mi tieni la mano sul cambio.
Quando ascoltiamo Elio.
Quando progettiamo le nostre mini fughe romantiche.
Quando ripetiamo le battute dei film e ridiamo.
Quando dici agli altri “Io con mia moglie mi diverto”.
Quando sul divano mi copri i piedi con il plaid.
Quando mi dici che sono tenera, ma in realtà vorresti dirmi che non capisco un belino.
Quando mangi le melanzane anche se non ti piacciono.
Quando scrivi in un sms che ti manco e aggiungi un cuoricino, come fanno gli adolescenti.
Quando...quando...quando...in tutti i luoghi e in tutti i laghi, ti amo.

Eh sì, l'amore oggi celebrato non è solo cuoricini, cioccolatini, cippi cippi e sdolcinerie varie che al 15 febbraio sono belle che dimenticate: l'amore vero è fatto da molte sfaccettature, da tante piccole cose quotidiane, dal modo in cui ci si guarda, dal modo in cui si guarda insieme al futuro. L'amore ha tanti strati, esattamente come la pasta sfoglia.
Per la romantica cena di San Valentino, non può mancare un piccolo aperitivo per stappare la prima bottiglia di bollicine: piccoli grissini di sfoglia – appunto - allo speck. Veloci e facilissimi da fare,leggeri e gustosi, talmente friabili che al primo morso cadranno minuscole briciole, ma nulla sarà più sensuale che toglierle dall'angolo della bocca del proprio amore.

A casa mia...buon San Valentino!



Grissini di sfoglia con speck

Ingredienti

  • 2 rotoli di pasta sfoglia
  • 1 uovo
  • 100 g di speck


Preparazione

In una ciotola sbatti l'uovo e con un pennello da cucina spennella i due rettangoli di pasta sfoglia da un solo lato. In un rettangolo, adagia le fette di speck.



Chiudi “a panino” con l'altro rettangolo di sfoglia e schiaccia un po' per far aderire bene i lembi. Con una rotella dentellata fai delle strisce



Arrotola ogni striscia di sfoglia, tagliata a metà,  su se stessa. Adagia sulla carta forno e spennella con l'uovo rimasto



Inforna a 180° per circa 20-25 minuti. Puoi servirli tiepidi, ma sono buoni anche freddi



mercoledì 12 febbraio 2014

Torino 2006 - Sochi 2014

Sono cominciate le Olimpiadi invernali in Russia, a Sochi. Che nessuno sa bene dov'è esattamente questo posto, ma tutti abbiamo pensato fosse inizialmente in Emilia Romagna, socc'mel!
Un evento sportivo mondiale che ha i super poteri: non solo unisce le persone e le rende orgogliose del proprio paese, ma fa appassionare a sport che durante i quattro anni tra un olimpiade e l'altra non caghiamo di striscio. Cioè, ma chi è che segue lo short track o lo slittino? Ci ricordiamo di questa disciplina solo quando Armin Zoeggler vince una medaglia e pensiamo grandissimo Armin, che figo! Ma con un nome così è veramente italiano?
Per me le Olimpiadi sono le discese da cardiopalma di Alberto Tomba, che sembrava che non ce la facesse mai e poi arrivava primo: lui sì, aveva il potere di far fermare l'Italia, tutti incollati al televisore a tifare come matti. Peccato poi abbia rovinato tutto con “Alex l'ariete”. E poi, ovviamente le vere Olimpiadi che sono nel mio cuore e in quello di tanti: Torino 2006. É stato un party meraviglioso durato tutto il mese di febbraio, che ha trasformato la città e anche i suoi abitanti: ci ha resi più accoglienti, allegri, sempre pronti a far festa con i turisti stranieri, orgogliosi di far conoscere la nostra splendida città fino ad allora rimasta un po' nell'ombra. E siamo diventati esperti supremi del curling e del suo scopettone. Durante quei giorni, un giornalista mi fermò per strada per chiedermi un'indicazione e mi disse: “Beh, ma voi torinesi non siete grigi e polentoni come dicono!”. Il torinese è distinto, molto gentile, ma un po' chiuso, mai sopra le righe, in un solo aggettivo: sabaudo. Ma in quei giorni tutto è cambiato. Ricordo l'emozione vera - da commozione - nel vedere passare la fiaccola olimpica per la città, l'orgoglio nel legare il tricolore ai propri balconi, la meraviglia e la voglia di far festa tutte le sere quando dalla Medal Plaza in Piazza Castello partivano i fuochi d'artificio. Musica, colori, abbracci, lingue diverse che si parlano, felicità che ancora adesso, dopo otto anni, sentiamo viva. Il potere dello sport, la meraviglia di scoprirsi uguali anche se di nazioni diverse, razze, religioni o orientamenti sessuali. Le Olimpiadi hanno cambiato Torino e i torinesi ed è quello che auguro ai Russi. Di cuore.
Sicuramente le Olimpiadi di Torino 2006 sono state anche un successo dal punto di vista culinario: pensate in che estasi dovevano trovarsi gli stranieri abituati ad hamburgers, aringhe crude, muschi e licheni davanti ai piatti della nostra cucina! Oggi, allora, una ricetta che è un grande classico piemontese: i plin fatti in casa. Un piccolo fagottino di pasta ripiena di carne, con la forma tipica data dal pizzicotto, il plin appunto. Ci vuole un po' di manualità e di allenamento, ed io ringrazio ufficialmente la mia insegnante severissima, langhetta doc, Anna di Cucina Precaria che mi ha cazziato aspramente se usavo le mani per sistemare il ripieno o se il mio plin era leggermente più grande del suo. Sono buoni, buonissimi, e se li condite con il sugo d'arrosto potrete esclamare: “Passion lives here!”.

A casa mia...saluti anche da Neve e Gliz!



Plin fatti in casa

Ingredienti per 6 porzioni abbondanti

Ingredienti ripieno (450 g)

  • 200 g di lonza
  • 200 g di polpa di manzo
  • Rosmarino
  • Vino bianco secco
  • 1 dado classico
  • Acqua
  • Olio evo
  • 1 uovo
  • 100 g di spinaci freschi
  • 2 cucchiai di parmigiano grattugiato
  • Sale&Pepe
  • Noce moscata

Ingredienti per la pasta (per circa 200 plin)

  • 400 g di farina
  • 4 uova


Preparazione


In una casseruola, metti a scaldare un po' di olio con un rametto di rosmarino. Metti i pezzi di carne, falli rosolare a fiamma viva da tutti i lati. Sfuma con il vino. Quando l'alcool è evaporato, abbassa la fiamma, sbriciola il dado e aggiungi un po' di acqua. Fai cuocere con il coperchio per circa 40-45 minuti girando a metà cottura.



Fai sfreddare la carne e tieni da parte il sugo d'arrosto che potrà servirti per condire i plin. Taglia la carne a pezzi grossolani e mettila nel mixer con l'uovo e il parmigiano.



In una padella calda con un filo d'olio fai cuocere per pochi minuti gli spinaci. Poi aggiungili al mixer. Regola di sale e pepe, metti un po' di noce moscata. La farcia del ripieno deve risultare morbido, ma non omogeneizzato, si devono sentire le fibre della carne.



Fai la pasta. In una ciotola incorpora la farina con le uova. Poi lavora nella spianatoia fino ad ottenere una pasta morbida e liscia. Lasciala riposare un poco ricoperta di pellicola.




Fai la sfoglia con la nonna papera arrivando fino all'ultima tacca per farla sottile. Infarina sempre il piano da lavoro in modo da non far attaccare la pasta. Con l'aiuto di due forchette, disponi il ripieno con una distanza di circa 2 cm.



Ripiega la pasta facendo aderire bene i due lembi. Poi pizzica la pasta tra un ripieno e l'altro.



Con la rotella dentellata taglia prima tutta la fila di pasta, poi fai i plin. Mentre tagli la pasta devi cercare di fare un lieve movimento per farli roteare e creare la forma tipica del plin.



Metti i plin in un vassoio e infarinali. Puoi conservarli in freezer e poi tuffarli direttamente in acqua bollente per cuocerli. Basteranno pochi minuti. Un condimento tipico dei plin è il sugo d'arrosto. Puoi usare quello della cottura dell'arrosto






venerdì 7 febbraio 2014

A casa mia è anche casa vostra

Foto di amaraterra.blogspot.it
Immaginate ciò che più vi trasporti in un'atmosfera di festa: ballerine brasiliane sculettanti a ritmo di samba, cappellini da mongolo in testa e trombette di menelik fastidiose – oh, ognuno ha i suoi gusti – disco music anni '70 e pantaloni a zampa svolazzanti, amici sorridenti con un flûte in mano: che entri la torta, auguri! Questo mio e vostro blog compie due anni! In verità il vero compleanno sarebbe domani, ma come direbbe Razzi-Crozza: Amico caro, che cazzo te ne frega, fatti un compleanno tuo! Il venerdì sera è perfetto per festeggiare: ci si rilassa dopo una settimana di lavoro, si possono fare bagordi, alzare un po' il gomito, fare le ore piccole con la tranquillità di avere ancora tutto il weekend per riprendersi e riposarsi, per cui oggi si festeggia!
Due anni meravigliosi di scrittura e ricette, due anni che mi hanno fatto crescere – ehi, non intendo in larghezza! - e che mi hanno dato la possibilità di capire cosa voglio realmente fare da grande. Forse, eh. Ma so con certezza che lo scrivere e cucinare fanno ormai parte integrante della mia persona. Ho uno scatolone pieno di diari segreti dell'adolescenza, di Smemo alte come un club sandwich farcito di cartoline, scontrini a rumenta varia, quaderni piene di parole, sfoghi e lacrime che nessuno doveva leggere. Anche perché sarei stata internata. Invece adesso ho scoperto la bellezza di condividere, di comunicare attraverso un piatto o una foto, ho compreso la meraviglia delle parole, la grande potenzialità che hanno, la capacità di far ridere, commuovere, riflettere, identificarsi, sognare. E questo, ovviamente, lo devo a voi che mi seguite con affetto, che mi scrivete per dirmi che un post vi ha fatto scassare dal ridere o vi ha fatto scendere la lacrima – questa cosa mi galvanizza assai – a voi che mi chiedete consigli sulle varie cotture che Suor Germana lèvati, a voi che arrivate sul blog con la parola chiave il topinambur è allucinogeno? o Rocco Siffredi in cucina – di questo sono molto orgogliosa – a voi che mi spronate ogni giorno a continuare questa bella avventura, a voi senza i quali questo spazio rimarrebbe un triste diario senza lettori. A casa mia è anche casa vostra.
Come sapete, l'idea primordiale di questo blog è nata durante un romantico viaggetto con il Maritino in Provenza, in un localino rustico e accogliente, con la musica jazz, davanti ad una fetta di quiche e del vino rosso, per cui oggi una ricetta francese per festeggiare il secondo compleanno del blog. La Tartiflette è un piatto tipico dell'Alta Savoia, dove il freddo impone alimenti piuttosto calorici per scaldarsi ed è una vera goduria, una di quelle ricette che coccolano, che mettono in pace con il mondo e con lo stomaco. Strati di morbide patate insaporiti da cipolla stufata e pancetta, la crema di Reblochon – tipico formaggio di questa regione francese – che sciogliendosi avvolge tutto con il suo languido abbraccio. Nessuna torta per me, le candeline le preferisco sulla Tartiflette.

A casa mia...trenino tutti insieme!A, e, i, o, u, y...

Tartiflette

Tartiflette

Ingredienti per una teglia da 8 persone

  • 1 kg di patate
  • 150 gr di pancetta arrotolata a fettine
  • 1 cipolla rossa
  • Vino bianco
  • 300 g di Reblochon
  • 100 ml di panna
  • 50 g di burro
  • Sale&Pepe



Preparazione


Sbuccia le patate e tagliale a fette di circa 1 cm. Mettile a cuocere in acqua salata bollente per circa 12 minuti. Le patate devono risultare cotte, ma non si devono disfarre.



Affetta la cipolla a rondelle sottili e metti a cuocere con il burro. Sfuma con un po' di vino bianco e lascia cuocere finché risulteranno morbide. Se necessario aggiungi un poco di acqua in cottura.




Taglia la pancetta a striscioline, lasciando da parte qualche fettina intera. In una ciotola metti le patate, la cipolla e la pancetta, regola di sale e pepe e lascia insaporire il tutto per 10-15 minuti.



Priva il Reblochon della crosta e fallo sciogliere nel microonde. Aggiungi la panna, in modo da ottenere una crema fluida. Se avete difficoltà a reperire il Reblochon, potete utilizzare un formaggio a pasta molle come il Brie.
Disponi le fette di patate sulla teglia facendo degli strati, poi irrora con la crema di formaggio



Adagia le fette di pancetta messe da parte e inforna a 250° per circa 15-20 minuti.




Sforna la Tartiflette quando la superficie sarà dorata. Lascia riposare per qualche minuto e poi servi ben caldo.


martedì 4 febbraio 2014

La felicità, quella vera

Con il mio papà, inverno 1983
Quando il Maritino ed io eravamo ancora fidanzati, trascorrevo molto tempo a casa sua e quasi tutti i giorni ero lì sia a pranzo che a cena con la sua famiglia tutta al femminile. Che a pensarci proprio bene forse potevo sembrare un po' scroccona, mentre i miei genitori probabilmente mi ritenevano ormai una desaparecida. La seconda ipotesi è che invece stappassero del Berlucchi tutte le sere perché finalmente erano tornati a fare la coppietta senza figli. Propendo per la seconda. Il periodo più bello della mia vita: poco più che ventenne, parecchio più magra – ma ci torno. Ah, se ci torno! - universitaria, senza preoccupazioni, sempre fuori casa e finalmente con l'amore. Top.
Ovviamente succedeva anche che il non-ancora-marito venisse a cena nella mia casa – che strano pensare come casa mia quella dei miei genitori – ed in quelle occasioni mio padre, cintura nera di chiacchiere, riusciva con il suo modo da gran amicone e pacche sulle spalle a fare il terzo grado a colui che gli avrebbe sottratto la sua bambina. Tanto mi starai sulle balle comunque, almeno che tu sia un bravo ragazzo, sennò ti spezzo una gamba. Mia madre cucinava dichiaratamente leggero – ho messo poco poco di olio, proprio un niente di burro – e noi ci sfondavamo di Nebbiolo che aveva un ruolo fondamentale in quelle serate e ci rendeva allegramente alticci. È stato così per quasi due anni, io e il non-ancora-marito sempre insieme.
Un giorno, era il 4 febbraio di undici anni fa, mancavano pochi mesi al nostro matrimonio e decisi che quella sera sarei rimasta a casa con i miei, ma da sola. Non c'era un vero perché, non era stata una cosa pensata realmente, razionalizzata, forse solo dettata dal cuore che mi diceva che forse i miei genitori avevano piacere di avermi con loro ancora come figlia e non come una donna che sta per lasciare il nido. Quando una figlia si sposa le mamme sono impegnate nei vari preparativi ed eccitate dai confetti, dal velo bianco, dalla scelta dei fiori; i padri sono degli uomini distrutti con la carta di credito incandescente che vorrebbero solo vedere la propria bambina ancora con i codini.
Fu una serata tranquilla, mia madre andò a letto presto, mentre io e mio padre condividevamo il bicchiere della staffa guardando un film di Aldo, Giovanni e Giacomo dal titolo quasi premonitore “Chiedimi se sono felice”. Abbiamo riso insieme, di gusto, e siamo andati a dormire. Felici.
Quella notte mio papà ebbe un infarto e a casa non è più tornato.
Lui adorava sgranare lentamente le fave fresche per mangiarle con il pecorino e la ricetta di oggi, alla perenne ricerca di piatti light, è ispirata a questo gusto un po' contadino: l'orzo si cuoce come se fosse un risotto in modo che tenga i suoi amidi e resti cremoso, le fave – io ho utilizzato quelle surgelate – private della buccia, fatte rosolare con uno scalogno delicato e un filo di olio, poi la mantecatura senza burro, ma con del gustoso pecorino sardo. Avrete un piatto sano, poco calorico, ma che appagherà il vostro palato perché anche dietro le ricette povere e poco elaborate si cela la letizia, perché anche dietro le piccole e semplici cose – come un bicchiere di vino e una risata insieme – si nasconde la felicità, quella vera.

A casa mia...siate felici!

Orzo risottato con fave

Orzo risottato con fave

Ingredienti per 4 persone

  • 250 gr di orzo
  • 500 gr di fave surgelate
  • 1 scalogno
  • Marsala
  • ½ l circa di brodo vegetale salato
  • Olio evo
  • Pecorino sardo



Preparazione

Fai scongelare le fave per qualche minuto nel microonde; quando saranno morbide, privale della buccia che si toglierà facilmente. In una padella scalda un goccio di olio e metti a rosolare lo scalogno tagliato a dadini piccoli. Poi aggiungi le fave pulite e lascia insaporire per qualche minuto.



Aggiungi l'orzo, fallo tostare per un paio di minuti, poi sfuma con un goccio di Marsala.




Cuoci l'orzo come un risotto, aggiungendo pian piano mestoli di brodo bollente. Con l'orzo che ho utilizzato il tempo di cottura è stato di circa 10 minuti.



Quando l'orzo è a cottura, spegni il fuoco e manteca con un po' di pecorino e se preferisci un sapore più ricco, aggiungi anche un pezzetto di burro.