lunedì 28 aprile 2014

Chez le negres, ovvero come un dolce possa essere un ricordo

Quando ho scritto che questo blog è “un diario fatto di racconti, emozioni e sensazioni che una ricetta può donare”, non scherzavo affatto. Confesso: le mie piccole storie nostalgiche che vi hanno fatto commuovere o i miei aneddoti di vita quotidiana che fanno sorridere, spesso sono stati collegati alla ricetta del giorno arrampicandomi sugli specchi meglio di Spider Man. Ma si sa, i supereroi fanno cose fuori dall'ordinario.
Ma oggi è diverso e ve lo dimostro svelandovi subito la ricetta abbinata: la torta Tropezienne. Avete presente quella pasta soffice ricoperta di granella di zucchero e farcita di crema? Ecco, a voi cosa fa venire in mente? La Francia? La Costa Azzurra? Gli yacht ancorati nel porto di Saint Tropez? La canzone di Peppino di Capri - appunto, questa sarebbe proprio stata tirata per i capelli - ? Il fatto che sia il dolce preferito di Brigitte Bardot? Troppo semplice. A me fa venire in mente Natale, un Natale in particolare, quello del 2002. E ora vi spiego perché.
Mancavano pochi mesi al mio matrimonio, sarebbe stato l'ultima veglia natalizia con il Maritino ancora fidanzato, il nostro ultimo anniversario da fidanzatini – ci siamo messi insieme il giorno di Santo Stefano – prima del grande passo, avevo in programma delle feste con alcuni amici. Ma la Nonna non stava bene e si decise di trascorrere le festività a Cagliari: non ero per nulla contenta, non di dover andare dai parenti – ci mancherebbe – ma di dover rinunciare a quelle date per me all'epoca molto importanti. Alla fine mi convinse il Maritino ancora fidanzato che mi disse che avremmo passato insieme tutti i Natali della nostra vita, che la mia famiglia aveva bisogno di me in quel momento e che per mio papà sarebbe stato importante stare con me in quei giorni, visto che ormai sapeva che la sua bambina se ne stava andando via da casa. Lo ringrazio ancora oggi per avermi fatta ragionare, perché quello è stato uno dei viaggi più belli e strani della mia vita. Mia madre era già in Sardegna da qualche giorno ed io, il Brother e mio padre siamo partiti insieme con la nave la sera del 24 dopo un viaggio verso Genova con il Pandino bianco di mia mamma sotto la pioggia battente. Trascorrere la notte di Natale sul traghetto è stato surreale, ma abbiamo festeggiato con una cena al ristorante della nave, bevendo – e come ti sbagli? - chiacchierando e ridendo. Che sembra un po' un film di Vanzina: “Vacanze di Natale in nave”. Il giorno di Natale ci siamo svegliati senza albero e pacchi da scartare, ma in una cabina dal cui oblò si vedeva il mare e un sole meraviglioso: la Sardegna ci ha accolti con il caldo e il suo profumo inconfondibile di buredda e mirto.
É stato un bel Natale in famiglia. Dopo due giorni era il compleanno di mio papà e indovinate su quale torta ha spento le candeline? Esatto, proprio una Tropezienne. A Cagliari c'è una pasticceria che si chiama “Chez le negres”, da pronunciare non con accento francese, ma obbligatoriamente con cadenza cagliaritana (più o meno così: Scèllenègr) e fa una Tropezienne da capogiro, credo la più buona che abbia mai mangiato. Ora, mi direte voi, non è che anche questo collegamento sia un po' mirabolante? Forse sì, ma non posso fare a meno di quel ricordo, perché quello è stato l'ultimo Natale con il mio papà e la sua ultima foto lo ritrae sorridente davanti ad una Tropezienne.
Ok, ora ritirate i fazzoletti perché è il momento della ricetta.
Il procedimento non è difficile, ma richiede un po' di tempo perché la pasta ha bisogno di diversi stadi di lievitazione; ha un aspetto meraviglioso con tutti quegli zuccherini, fa proprio venire voglia di una fetta, con la crema voluttuosa che straborda dalla torta. Il risultato è stato soddisfacente, ma purtroppo niente a che vedere con la Tropezienne di “Scèllenègr”. Quest'estate andrò in Sardegna, sapete già dove trovarmi!

A casa mia...ogni piatto, un ricordo!

Tropezienne

Tropezienne

Ingredienti per la pasta

  • 450 g di farina manitoba (più quella per infarinare)
  • 3 uova
  • 125 g di burro
  • 50 g di zucchero
  • 130 ml di latte
  • 25 g di lievito di birra (un cubetto)
  • 1 tuorlo
  • 50 g di granella di zucchero
  • Un pizzico di sale

Ingredienti per la crema pasticciera

  • ½ l di latte
  • 3 tuorli
  • 1 baccello di vaniglia
  • 70 g di zucchero
  • 60 g di farina

Ingredienti per la crema al burro

  • 150 g di burro
  • 50 g di zucchero a velo



Preparazione

Fai sciogliere il lievito con il latte tiepido, unisci 1 cucchiaino di zucchero e 100 g di farina




Impasta e lascia riposare coperta da pellicola per un'ora



Disponi la farina rimasta con il burro ammorbidito a pezzetti, le uova, lo zucchero rimasto, un pizzico di sale e il panetto lievitato



Lavora gli ingredienti in modo da ottenere un impasto morbido. Coprilo e lascialo lievitare per altre due ore.



Rilavora per qualche minuto e poi rimetti a lievitare coperto per ancora un'ora. Metti la pasta in un stampo da 28 cm ricoperto da carta forno bagnata e strizzata e fai lievitare ancora un'ora



Spennella la superficie con il tuorlo sbattuto e un goccio di latte



Spolverizza con la granella di zucchero e cuoci in forno a 180° statico per circa 25 minuti. Poi fai raffreddare su una gratella



Fai la crema pasticciera: porta ad ebollizione il latte con il baccello di vaniglia inciso. Monta i tuorli con lo zucchero e aggiungi la farina poco alla volta. Aggiungi il latte caldo a filo, poi fai cuocere la crema fino a che si velerà il cucchiaio. Fai raffreddare la crema coprendola con la pellicola a contatto.



Fai la crema al burro: disponi il burro molto morbido con lo zucchero a velo e monta con le fruste fino ad ottenere una consistenza tipo pomata. Unisci le due creme e amalgama.



Taglia a metà la torta e farcisci con la crema




Ricomponi la torta e servi










mercoledì 16 aprile 2014

E' il culo grosso che me lo chiede

Ora che è trascorso un po' di tempo e si cominciano a vedere i primi risultati, posso finalmente dirlo ufficialmente: sono a dieta. Sì, lo so, lo avevo già detto a mezza bocca e si era intuito dall'insistenza della parola “light” nelle ultime ricette, ma troppe volte mi è capitato di fare questa dichiarazione e poi di perdere solo qualche etto, e giusto se tagliavo i capelli. Malimortè. Era anche una questione di orgoglio personale, non potevo fallire di nuovo. Io non sono una fan della magrezza, cosa che proprio non mi appartiene, ma credo che ognuno debba stare bene con se stesso e nell'ultimo periodo mi mancava proprio questo aspetto. Il mio personale hashtag da dieta è #èilculogrossochemelochiede. Non ho ancora vinto, nel senso che il mio peso forma è ancora moooolto lontano, ma ho perso dieci chili in poco più di tre mesi e sono soddisfatta. Nella foto potete vedere: a sinistra la versione bella ciaciona e un po' Sora Lella, e a destra come sono ora. E se qualcuno si chiede dov'è la differenza, sa già dove deve andare!  Nessun segreto, nessuna formula o pillola magica, nessun bibitone che non fa sentire la fame: ho imparato a mangiare bene, di tutto, e a concedermi uno sfizio o una cena con gli amici ogni tanto senza sentirmi in colpa. Sì, ovviamente ci sono quei giorni in cui, dopo settanta grammi di pasta e tanta verdura, vorrei sbattere la testa contro il muro e mi vorrei scassare un bel Big Mac! Il cibo fa parte della mia vita ed è una delle espressioni di intelligenza, arte e anche bellezza che l'uomo ha imparato nella sua storia millenaria. Mai ci rinuncerei!
E poi cammino. Alla mia dietologa avevo chiesto di fare aquagym e lei mi ha risposto: “Signora, noi uomini non siamo stati creati per nuotare, vede branchie? Cammini, va.”. Come controbattere? Due, tre volte a settimana faccio quattro-cinque chilometri tra le colline langarole con la musica nelle cuffie, e mi sento bene. Ho scoperto ancora di più la bellezza della natura, dei piccoli cambiamenti delle piante sopratutto in questo periodo primaverile. Vivere fuori città fa venire voglia di ritrovare il contatto con la terra, di osservare ciò che ci può donare e tra poco ricomincerà la mia stagione nell'orto. La scorsa settimana mia madre e Nanagrande hanno raccolte e pulito le ultime bietole prima della fresatura: una quantità disumana. Le ho fatte in tutti i modi: lessate, in padella, al forno, riempito quiche come se non ci fosse un domani...uggesù, mi uscivano dalle orecchie! E poi ho fatto un risotto, perfetto per la dieta, ma anche per chi non lo è perché era veramente buono. Un risotto tradizionale, ma cotto con l'acqua di cottura della verdura – non si butta via nulla - le bietole lessate e ridotte in crema con un filo di olio, un poco di parmigiano: perfetto per far mangiare la verdura ai bambini, ottimo per una dieta vegetariana o controllata, ma anche per una cena con gli amici. Magari aggiungendo un pezzetto di burro per la mantecatura.
Il culo (un po' meno) grosso me lo chiede: dieta sì, ma con gusto.

A casa mia...ecco, adesso non ci vedo più dalla fame!

Risotto con bietole dell'orto

Risotto con bietole dell'orto

Ingredienti per 4 persone

  • 280 g di riso Carnaroli
  • 150 g di bietole già lessate
  • 1 scalogno
  • 4 cucchiai di olio evo
  • Marsala
  • Acqua di cottura delle bietole
  • 2 cucchiai di Parmigiano grattugiato
  • Sale&Pepe


Preparazione


Lessa le bietole in abbondante acqua salata. Strizza bene le bietole e tieni da parte l'acqua di cottura. Metti le bietole in un bicchiere alto insieme ad un mestolino della sua acqua e un cucchiaio di olio: usa il frullatore ad immersione fino ad ottenere una crema.



In una padella o tegame, fai appassire lo scalogno tagliato sottile con il restante olio. Tosta il riso e sfuma con un poco di Marsala. Poi cuoci il riso normalmente aggiungendo, invece del brodo, l'acqua di cottura bollente delle bietole. A ¾ della cottura, aggiungi la crema di bietole.





Se necessario regola di sale, manteca con il parmigiano e aggiungi una bella macinata di pepe. Servi con qualche ricciolo di parmigiano.


mercoledì 9 aprile 2014

L'amore prima o poi arriva. E ti incula.

Io amo leggere, da sempre, da quando ero bambina. Leggevo i classici romanzi per ragazzi, da Robinson Crusoe a Piccole Donne, quelle raccolte di piccole storie accompagnate da disegni che cercavo di riprodurre con miseri risultati – Ciao, sono Margherita e sono sempre quella che ha scritto al pupazzo Uan per dire che il mio problema era quello di non saper disegnare – oppure gli immancabili Topolino conservati nello sgabello bianco anni '70 del bagno che mi hanno fatto compagnia nei veri momenti del bisogno. Se poi il fumetto era stato dimenticato sul comodino in camera, mi arrangiavo con le etichette dello shampoo o dell'ammorbidente sopra la lavatrice. Per chi è di Torino, vi consiglio il bagnoschiuma Trisol di Colenghi in Piazza Solferino: un bottiglione da un litro, una confezione marrone piuttosto bruttina, ma tanto da leggere sul retro. Una garanzia.
Ho avuto il periodo di fissazione dei grandi classici – commedie di Shakespeare, il Piacere di D'Annunzio (scusate, ma lo devo dire: che due cojoni!), il Fu Mattia Pascal... – poi nell'adolescenza sono passata ai romanzi rosa di bassa lega, la cui trama era più o meno la stessa: lei ama lui, lui ama lei, lui parte per la guerra, lei si consola facendosi pastrugnare da un altro ma pensa a lui, lui torna dal fronte dopo vent'anni – 'ste guerre sono sempre lunghissime - tendenzialmente senza una gamba, e si ritrova lei con i capelli bianchi e un figlio di cui non sapeva l'esistenza. Bacio. Happy end. Son cose belle, viva la cultura.
In seguito ho avuto il periodo politico, in cui leggevo libri che pesavano quanto un macigno – sia per il volume, sia per il contenuto – e facevo tanta tenerezza al Maritino, quello stesso sentimento di delicato affetto che si ha verso un bambino quando fa vedere orgoglioso il suo disegno della mamma che è rappresentata come uno sgorbio senza busto e culo, con le braccia che escono dalle orecchie, ma gli si dice che è un Picasso in erba. Come dire: non capisci una beneamata, ma apprezzo lo sforzo.
Ora spazio parecchio nelle mie scelte, ma se c'è una cosa che mi piace è leggere a voce alta al Maritino, un modo per condividere con lui una cosa che mi ha colpito o che mi è piaciuta particolarmente. Che se lo facesse lui con me, alla seconda riga starei già pensando ad altro.
L'altro giorno mi sono addormentata leggendo dei vecchi post che mi ero persa di un blog che seguo con entusiasmo: ti asmo. Già il titolo è una genialiata. L'autrice è Enrica Tesio, una ragazza di Torino che non conosco, ma con cui abbiamo tanti amici in comune: trentaquattrenne con due figli piccoli e un compagno che l'ha lasciata, ma che le ha dato la voglia di scrivere. Lei spiega “la verità sull'amore, che prima o poi arriva. E ti incula.” Con la sua penna fatta di tasti è capace di far commuovere, di far riflettere, ma sopratutto di far ridere e ieri sera, leggendo al Maritino a voce alta uno dei suoi post, siamo finiti a ridere fino alle lacrime. Il post in questione era questo, poi ditemi voi se non fa scassare. Enrica scrive così bene da farmi invidia, scrive così bene da riuscire a lasciarti qualcosa con la sua profondità di donna ferita, ma anche se parla di frivolezze.
Me la immagino sempre trafelata tra lavoro e bimbi da gestire, e così oggi ho pensato ad una ricetta molto veloce, ma che non manca di gusto, perfetta per un aperitivo. I vol au vent sono belli che fatti perché comprati, basta scaldarli un po' in forno per renderli più fragranti, poi si farciscono con una delicata crema di prosciutto e si finisce con una croccante granella di pistacchi. Sono belli da vedere e buoni da mangiare, anche sul divano con in mano un libro.

A casa mia...se un libro non ti piace, chiudilo. Non ti basteranno tutti i giorni della tua vita per leggere ciò che di bello è stato scritto.

Vol au vent con spuma di prosciutto e pistacchi

Vol au vent con spuma di prosciutto e pistacchi

Ingredienti per 12 vol au vent

  • 1 confezione di vol au vent di sfoglia
  • 150 g di prosciutto cotto
  • 200 g di robiola o formaggio spalmabile
  • 50 g di pistacchi tostati già sgusciati
  • Pepe&Sale


Preparazione


Nel robot da cucina trita grossolanamente i pistacchi e tienili da parte. Poi metti il prosciutto tagliato a fette e la robiola. Regola di sale e pepe e lavora il composto fino ad ottenere una crema soffice.



Poco prima di servire, fai rinvenire i vol au vent in forno, a 150° per 5 minuti. Metti la crema in una sac-à-poche e riempi i vol au vent tiepidi.




Servi con la granella di pistacchi sopra la spuma e un calice di bollicine


mercoledì 2 aprile 2014

Ichnusa, Vermentino e Mirto: felice, impaziente e curiosa

Abbiamo prenotato le vacanza estive e avere nell'agenda e nella mente questo tipo di countdown fa bene allo spirito. Sono felice perché andremo nella mia amata Sardegna, ma ancora di più perché la meta sarà proprio quel villaggio che mi ha visto crescere, quel luogo del cuore che fa da scenografia ai ricordi più belli e felici della mia infanzia. Geremeas – ne ho già parlato parecchio in passato – è un piccolo agglomerato di villette bianche, ognuna con il proprio piccolo giardino; vialetti delimitati da oleandri in fiore, nessuna automobile, nessun negozio, nessuna via dello struscio serale, ma solo un piccolo market in cui si entra in infradito e pareo, un bar che funge anche da ristorante ed edicola. Si arriva in spiaggia in pochi minuti a piedi, attraversando un boschetto di eucaliptus e lì si apre la solita meraviglia sarda: un mare cristallino che aspetta solo un tuffo. Sono impaziente perché come si fa a non esserlo quando sai che ti attende una vacanza tanto voluta? E' da quando è nata Nanagrande che desidero tornare a Geremeas, per vivere quella sensazione di benessere che conosco bene, con la mia famiglia. E sono curiosa, perché sarà come mi ricordo anche per le mie figlie? Sicuramente non uguale. Per loro non ci sarà il Nonno che si alza presto al mattino per prendere il suo gommoncino arancione a remi e andare a pescare con la lenza – e che ti urla contro se inconsapevolmente gli dici “Nonno, buona pesca!” - non ci sarà la Nonna che ti sveglia con il latte caldo e la bustina di caffè solubile Faemino – molto anni '70! - per farti sentire grande; non ci saranno le patatine calde da rubare al ritorno dalla spiaggia con i piedi ancora impanati dalla sabbia; non ci saranno i cuginetti con cui farsi i gavettoni; non ci saranno le code serali alla cabina telefonica e le 1000 lire cambiate in gettoni per giocare a Pacman. Ma tutto il resto non è cambiato e sarà splendido ed emozionante vedere le mie Nane negli stessi posti che mi hanno visto bambina. E poi sarà bellissimo cucinare con la pelle che sa ancora di salsedine e mangiare nella veranda immersa dai bouganville: brezza serale, asciugamani e costumi stesi, una bottiglia fresca di Vermentino. Sono già lì.
Dunque oggi una ricetta che sa di Sardegna e anche di leggerezza perché la prova costume è alle porte: fusilli con carciofi e bottarga. I carciofi fatti saltare in padella con un po' di cipolla e un goccio di olio, la pasta fatta cuocere direttamente in padella aggiungendo acqua poco alla volta per renderla ancora più buona, una spolverata di bottarga di muggine per dare quel gusto inconfondibile di vacanza.
E poi adesso sono grande, un'Ichnusa per aperitivo non me la leva nessuno. E dopo cena un mirto ghiacciato.

A casa mia...sarà una vacanza alcolica?

Fusilli carciofi e bottarga light

Fusilli carciofi e bottarga light

Ingredienti per 4 persone

  • 4 carciofi
  • Mezza cipolla rossa
  • 4 cucchiaini di bottarga di muggine grattugiata
  • Acqua bollente salata
  • Sale&Pepe
  • 4 cucchiai di olio evo



Preparazione

Taglia la cipolla a cubetti e mettila a rosolare con l'olio. Pulisci i carciofi, togli la barba interna e tuffali in acqua acidulata. Tagliali sottili e mettili in padella.



Aggiungi un po' di acqua e lascia cuocere per 10 minuti. Sala e pepa. Poi metti la pasta cruda e falla cuocere aggiungendo mestoli di acqua calda finchè è cotta




Servi i fusilli con una spolverata di bottarga