venerdì 10 gennaio 2014

Ingegneria applicata alla cucina

Foto da globalrecuitingroundtable.com
Ambiente: campo sportivo pallonato (quelli chiusi solo d'inverno con i teli, come li chiamate?) - Scena I: saggio di pattinaggio – Protagonisti: La Mamma e Nanagrande.
La Mamma, mortalmente annoiata dopo un'ora di simpatici spettacolini-esercizi su pattini a rotelle con musica a palla orrendamente distorta dall'acustica della palestra, si intenerisce alla vista della sua bambina, felice e precaria sui suoi pattini bianchi. “Brava topetta! Sei migliorata tantissimo (ma 'sto saggio, che du' cojoni)! Hai visto che brave le ragazze grandi che facevano le piroette? Ecco, se ti alleni come fai adesso, poi sarai capace anche tu. Ammamma.”. Nanagrande, soddisfatta del suo saggio, ma decisa e determinata nel suo pensiero risponde: “Mi piace pattinare, ma non mi interessa diventare come quelle ragazze, io voglio fare la chef!”. Degna figlia di una foodblogger. Veramente, ma proprio sinceramente, ammamma al cubo.
Nanagrande sembra molto sicura di ciò che vorrà fare da grande, mentre io ho ancora qualche problema nel decifrare il mio futuro lavorativo. Scegliere gli studi adatti che ti formino come persona e come professionista non è per nulla semplice: mio padre avrebbe voluto che facessi Economia – ma manco dipinta di blu – io ho scelto Lingue (poi passata a Lettere) perché boh, tanto le lingue straniere servono sempre, e adesso viene fuori che sarei potuta andare al Politecnico. Sì, come no: credo che non sarei stata ammessa neanche nel bar del Poli. Ma il Maritino dice che sono particolarmente brava nel reverse engineering, cioè quella capacità che hanno gli ingegneri di ricostruire un progetto vedendo il prodotto finito, cioè capire il procedimento che è stato utilizzato per arrivare a tal congegno. Ovviamente applicato alla cucina. Quando ci capita di andare fuori a cena, mi diverto ad analizzare il piatto che ho davanti e a cercare di capire com' è stato fatto per poi riprodurlo. Così è stato per la ricetta di oggi. Nel nostro ultimo viaggio in Francia, ad Annecy, ci hanno portato al tavolo come amuse bouche un bicchierino con della crema di zucca e della panna salata sopra: non ci è stato comunicato che cos'era, l'ho capito assaggiandolo, e se anche me lo avessero detto, non avrei capito una beneamata. L'ho trovata una bella idea, ma visto così era proprio bruttino. Così è nato lo Zuccaccino, la zucca che sembra un cappuccino: vellutata di zucca – che se fatta abbondantemente si può mangiare con crostini, pepe e un filo di olio – servita in tazzina (meglio se di quelle vintage marroni, con il piccolo manico, dove bevevo la cioccolata calda sulle piste da sci da bambina) con un ciuffo di panna montata salata e dei semi di papavero che sembrano polvere di cacao. Trovo che sia un aperitivo finger food scenografico, che esce un po' dal solito e che vi farà fare un figurone con i vostri ospiti, anche con i super cervelloni. Perché dopotutto questa ricetta è un esercizio di ingegneria.

A casa mia...si studia progettazione!

Zuccaccino





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