Io
amo leggere, da sempre, da quando ero bambina. Leggevo i classici
romanzi per ragazzi, da Robinson Crusoe a Piccole Donne, quelle
raccolte di piccole storie accompagnate da disegni che cercavo di
riprodurre con miseri risultati – Ciao, sono Margherita e sono
sempre quella che ha scritto al pupazzo Uan per dire che il mio
problema era quello di non saper disegnare – oppure gli immancabili
Topolino conservati nello sgabello bianco anni '70 del bagno che mi
hanno fatto compagnia nei veri momenti del bisogno. Se poi il fumetto
era stato dimenticato sul comodino in camera, mi arrangiavo con le
etichette dello shampoo o dell'ammorbidente sopra la lavatrice. Per
chi è di Torino, vi consiglio il bagnoschiuma Trisol di Colenghi in
Piazza Solferino: un bottiglione da un litro, una confezione marrone
piuttosto bruttina, ma tanto da leggere sul retro. Una garanzia.
Ho
avuto il periodo di fissazione dei grandi classici – commedie di
Shakespeare, il Piacere di D'Annunzio (scusate, ma lo devo dire: che
due cojoni!), il Fu Mattia Pascal... – poi nell'adolescenza sono
passata ai romanzi rosa di bassa lega, la cui trama era più o meno
la stessa: lei ama lui, lui ama lei, lui parte per la guerra, lei si
consola facendosi pastrugnare da un altro ma pensa a lui, lui torna
dal fronte dopo vent'anni – 'ste guerre sono sempre lunghissime -
tendenzialmente senza una gamba, e si ritrova lei con i capelli
bianchi e un figlio di cui non sapeva l'esistenza. Bacio. Happy end.
Son cose belle, viva la cultura.
In
seguito ho avuto il periodo politico, in cui leggevo libri che
pesavano quanto un macigno – sia per il volume, sia per il
contenuto – e facevo tanta tenerezza al Maritino, quello stesso
sentimento di delicato affetto che si ha verso un bambino quando fa
vedere orgoglioso il suo disegno della mamma che è rappresentata
come uno sgorbio senza busto e culo, con le braccia che escono dalle
orecchie, ma gli si dice che è un Picasso in erba. Come dire: non
capisci una beneamata, ma apprezzo lo sforzo.
Ora
spazio parecchio nelle mie scelte, ma se c'è una cosa che mi piace è
leggere a voce alta al Maritino, un modo per condividere con lui una
cosa che mi ha colpito o che mi è piaciuta particolarmente. Che se
lo facesse lui con me, alla seconda riga starei già pensando ad
altro.
L'altro
giorno mi sono addormentata leggendo dei vecchi post che mi ero persa
di un blog che seguo con entusiasmo: ti asmo. Già il titolo è una
genialiata. L'autrice è Enrica Tesio, una ragazza di Torino che non
conosco, ma con cui abbiamo tanti amici in comune: trentaquattrenne
con due figli piccoli e un compagno che l'ha lasciata, ma che le ha
dato la voglia di scrivere. Lei spiega “la verità sull'amore, che
prima o poi arriva. E ti incula.” Con la sua penna fatta di tasti è
capace di far commuovere, di far riflettere, ma sopratutto di far
ridere e ieri sera, leggendo al Maritino a voce alta uno dei suoi
post, siamo finiti a ridere fino alle lacrime. Il post in questione
era questo, poi ditemi voi se non fa scassare. Enrica scrive così
bene da farmi invidia, scrive così bene da riuscire a lasciarti
qualcosa con la sua profondità di donna ferita, ma anche se parla di
frivolezze.
Me
la immagino sempre trafelata tra lavoro e bimbi da gestire, e così
oggi ho pensato ad una ricetta molto veloce, ma che non manca di
gusto, perfetta per un aperitivo. I vol au vent sono belli che fatti
perché comprati, basta scaldarli un po' in forno per renderli più
fragranti, poi si farciscono con una delicata crema di prosciutto e
si finisce con una croccante granella di pistacchi. Sono belli da
vedere e buoni da mangiare, anche sul divano con in mano un libro.
Vol au vent con spuma di prosciutto e pistacchi
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