La sala de La locanda di Piero |
Si
trova in un contesto campagnolo, ma molto ben curato – oggi si dice
shabbychic - con fiori alle finestre e un salottino esterno
con divanetti perfetti per l'ultima chiacchiera dopo il pasto; si
entra attraverso una porta girevole dal gusto parigino in un contesto
elegante, ma non pretenzioso, la sala è accogliente, con un grande
camino che sa di antico, il soffitto rustico in legno e una vetrata
che si affaccia sui campi.
Si
comincia con un calice di Franciacorta e una tazzina di spuma di
burro con grissini artigianali al sesamo e una scelta di piccoli
panini fragranti: non vi lasciate tentare troppo, potreste rovinarvi
la cena che è tutt'altro che misera. Nel menù degustazione, dopo un
piccolo amuse bouche, ci sono cinque portate più il dolce. La
carta dei vini è ampia e include anche diverse etichette straniere,
con un occhio di riguardo per Veneto, Trentino e Friuli: il maitre
Sergio ci consiglia un Soave del vigneto Calvarino, ottimo.
L'antipasto è una pallina di baccalà mantecato con una sfoglia di
polenta e mandorle adagiato su una spennellata di olio al prezzemolo,
uova di salmone e spicchi di lime: è un vero quadro, un'opera d'arte
per gli occhi, con sapori semplici e riconoscibili. Gli gnocchi di
patata con carbonara di anguilla, pepe di Sheguan e pecorino
Gallurese sono il perfetto risultato della rivisitazione di un grande
classico – al primo assaggio l'anguilla sembra guanciale - e
costringe ad una scarpetta furtiva. Si arriva all'apice della cena
con i ravioli al fois gras, frutta caramellata e mostarda di Cremona:
in questo piatto si trova la maestria dello chef, un tripudio di
sapori e consistenze da gustare piano ad occhi chiusi. Lo chef ci fa
assaggiare, extra menù, anche il risotto agli asparagi con
prosciutto crudo e uovo di quaglia in camicia: un piatto ben
eseguito, ma è un buon risotto, nulla di più. Lo stinco di maiale è
tenerissimo, accompagnato da un purè di zucca e patate: ottime
materie prime, ben cucinato. Prima del dolce, una tortina all'arancia
che sa più di colazione che non di fine pasto – ma si sa, nei menù
degustazione ci sono dei compromessi – un bicchiere di piña colada
con sorbetto di frutta fresca, gelè ai frutti di bosco a ananas,
molto piacevole. La cena si conclude con un assortimento di piccola
pasticceria secca che accompagna, purtroppo, un caffè mediocre.
Il
personale è giovane e preparato, il maitre Sergio molto disponibile
e accogliente, lo chef Renato ha tutte le carte in regola per poter
stupire, ma ne tiene ancora parecchie in mano.
Questa
è la mia prima recensione, scritta per il corso di Food Journalism
che sto frequentando. Il compito era di farla in 1400 battute – e
l'ho fatto, anche se con fatica – ma questa versione, un po' più
narrativa, è per trasportarvi direttamente nel clima veneto.
Come
fare ad abbinare una ricetta dopo la recensione di un ristorante
stellato? Semplice, basta proporre un dolce che sa di nonna, di
colazioni all'aperto, di ginocchia sbucciate, di fragole appena
colte, perché le cose che ci sembrano banali, spesso sono le più
buone.
Una
frolla, fragole fresche fatte andare in padella con un po' di
zucchero, losanghe a zig zag per una crostata meravigliosa, dai
sapori primaverili, perfetta per la colazione, la merenda, per un
dolce momento.
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