Foto da partecipiamo.it |
Il
vizietto erano le caramelle Tabù che mi compravi al bar mentre
bevevi il caffè.
Quando
quel semaforo vicino all'asilo era rosso dovevo fare il lavoretto,
quel bacio sulla guancia sporgendomi dal sedile di dietro per far
passare qualche secondo e, se era verde, ti baciavo lo stesso ridendo
e muovendo i codini.
Quel
pianto disperato salutandoti dal lunotto posteriore della A112 perché
non venivi con noi a prendere la nave per le vacanze.
Il
cronometrare le mie corse da Usain Bolt sul marciapiede tra il garage
e casa e i tuoi “Sei stata velocissima”.
La
mia manina nella tua manona e quella faccia infastidita quando ti
chiedevano “Oh, che bella cita, è tua nipote?” e la mia faccia
infastidita perché cita per me era una scimmia.
Scrivere
con la mia grafia elementare “Langhe” e “Roero” sulle
etichette bianche per il vino appena imbottigliato insieme e ridere
perché tutte le volte che dicevo “Roero” mi si arrotolava la
lingua per le erre mosce.
Mi
piaceva far suonare le corde della chitarra mentre tu facevi gli
accordi e cantare “Le carrozze son già preparate...” era la
migliore ninna nanna.
Quel
gioco che durava il tempo di un ascensore in cui facevamo finta di
essere due condomini – Oh, buonasera! Come sta la famiglia? - e
finiva che mi invitavi a cena, a casa nostra.
Le
litigate perché non ti piacevano le scarpe che compravo, perché non
erano “classiche” ed io rivendicavo la moda e i miei gusti
personali: avevi ragione, quelle scarpe con la punta quadrata
facevano cagarissimo.
Ho
un vuoto di noi nell'adolescenza. Ma chi li capisce gli adolescenti?
Quel
ballo improvvisato in camera mia mentre lo stereo suonava “Yo
romperé tus fotos”, credo l'unica canzone de La Mosca.
La
tua lentezza sfiancante nel giocare a carte e i tuoi “putèn”
quando sbagliavi. Ma non ho ancora capito in che lingua fosse
quell'imprecazione.
La
tua delicatezza nel chiedermi al mattino, con la faccia assonnata e i
neuroni ancora in catalessi, “posso parlarti?”.
Quella
volta che in bagno avevo pianto, mi ero asciugata gli occhi per non
farmi vedere, ma tu ti sei seduto sul bordo della vasca e mi avevi
chiesto “Vuoi parlare?”. No, non volevo parlare, ma non mi sono
sentita sola.
Quell'ultima
strana notte di Natale trascorsa su un traghetto a ridere e a bere
Corvo bianco.
Quel
caffè offerto da me, perché ormai ero grande, in quel sabato
uggioso, in quel baruccio sfigato affianco al negozio di abiti
nuziali in cui saremmo andati poco dopo, noi due soli, a scegliere il
mio vestito da sposa che non mi hai più visto indossare.
Quel
sorriso che facevi solo a me.
Io
mi ricordo, e tu? Buona festa, papà!
Stamattina
ho aperto facebook e sono stata sommersa da status sulla festa del
papà, da cuori per i papà, da foto con papà. Che manco mi
ricordavo che oggi era la festa del papà. E stamattina neanche il
Maritino è stato festeggiato, pessima moglie che sono. Mi è un po'
venuta la carogna sulle spalle da pessimismo&fastidio, poi la
mente ha cominciato a viaggiare e le dita sono andate da sole sulla
tastiera del computer. A volte le parole escono quando meno te le
aspetti. E pure le lacrime.
La
ricetta di oggi, per nulla programmata, è un soufflè di fave con
una salsa al pecorino, un antipasto vegetariano che sa di primavera,
perfetto per oggi, perché a mio papà piaceva tanto sgranare le
fave, tagliare il pecorino a tocchi e farsi un aperitivo con un
bicchiere di vino. Ricordi. Un sorriso. La vita.
Soufflè di fave con salsa al pecorino
Ti voglio bene!
RispondiEliminaChe bello questo tuo post! Sei tanto cara e sono certa che il tuo papá sia davvero tanto felice di come tu abbia deciso di festeggiarlo! L'amore non finisce mai, resta sempre con noi! Un abbraccio stretto stretto Any
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